Olio da meccanico? Sciroppo al cioccolato? Tintura per capelli o mascara? Entro la mezzanotte -nell’accavallarsi dei talk show di tarda serata- si accettavano scommesse su cosa fosse la misteriosa sostanza nera che scorreva in rivoletti sulle guance di Rudolph Giuliani durante l’ultima delirante conferenza stampa in cui l’avvocato personale di Donald Trump (pagato, sembra, ventimila dollari al giorno) spiegava l’elaborata frode elettorale con cui i democratici starebbero cercando di installare Joe Biden alla Casa bianca, evocando la commedia con Joe Pesci My Cousin Vinny («il mio film preferito perché lui è di Brooklyn»). Affiancato da un altro membro del team legale di Trump, che ha puntualmente spiegato come dietro a Biden ci siano «capitali comunisti che arrivano dal Venezuela, da Cuba e forse anche dalla Cina», con questa nuova apparizione il sindaco d’America ha superato persino quella ormai mitica di qualche settimana fa, al Four Seasons Garden Center -non, come aveva twittato Trump, il parco dell’omonimo hotel a cinque stelle, ma un negozio di giardinaggio del New Jersey posizionato tra un crematorio e un sex shop.

UN MELTDOWN il suo, sia letterale che psicologico -la faccia che gli si disfaceva letteralmente davanti ai nostri occhi, in una pasta di sudore, bitume e fondotinta, come si disfaceva catastroficamente davanti ai nostri occhi la logica delle affermazioni. Il che faceva venire in mente non My Cousin Vinny ma la raffigurazione del potere in un quadro di Francis Bacon, o nel capolavoro carpenteriano They Live, in cui Roddy Piper trova degli occhiali speciali che rivelano una popolazione di orribili alieni scheletrici dietro al trompe l’oeil della familiare realtà che ci circonda. Carpenter, si sa, aveva inteso il film come una metafora del capitalismo rampante degli anni di Reagan e non è un caso che un megaposter con sopra il morphing tra un ritratto del presidente e i teschi/ET di They Live sia apparso quest’anno tra i cartelloni di Times Square.
Ma se è vero che le allucinanti esternazioni di Giuliani, Pompeo che promette il secondo mandato e i tweet postelettorali dello stesso presidente stanno cominciando ad assumere una connotazione disperata, da meltdown, è interessante ricostruire, come ha fatto il New York Times qualche giorno fa, le metodica pazienza con cui questo presidente apparentemente così impulsivo e irrazionale ha predisposto il trompe l’oeil della frode elettorale – e cioè come far apparire come una vittoria quella che nella realtà è una sconfitta.

GIA’ NEL SETTEMBRE del 2016, mentre – dopo essere stato uno dei birthers originali- da una parte ammetteva che effettivamente Barack Obama era nato negli Stati uniti, dall’altra anticipava che le elezioni imminenti (che allora pensava di perdere) erano truccate a favore di Hilary Clinton. Spalleggiato dai soliti ignoti di Fox News e Infowars, e dall’amico/consigliere Roger Stone, perdonato presidenzialmente qualche mese fa (e che fondò allora il gruppo Stop the Steal, riaffiorato a fagiolo quest’anno), Trump gettò allora i semi del sospetto nei confronti del processo elettorale. Avendo vinto la presidenza, non ebbe bisogno di spingere fino in fondo la sua nuova teoria del complotto, ma la usò spudoratamente per mettere in dubbio il vantaggio di tre milioni e passa con cui Clinton lo aveva battuto nel voto popolare -arrivando al punto di istituire una commissione, presieduta da Mike Pence e dall’ex segretario di stato del Kansas Chris Kobach, per indagare sull’ipotetica minaccia nazionale della frode alle urne. Con il Covid è arrivata la demonizzazione del voto per posta…
Che una buona porzione di coloro che hanno votato Trump credano che lui abbia vinto è deprimente ma tutt’altro che un caso. È un disegno -un abile trompe l’oeil costruito nel tempo. E gli occhiali giusti per smascherarlo non sono ancora saltati fuori anche se la faccia di Giuliani ha cominciato a sciogliersi.

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