«La vera ricchezza d’Italia – già Belpaese per antonomasia – sta nel suo patrimonio artistico e storico, paesaggistico e culturale»: sono ormai in molti ad individuare in questi beni comuni i possibili milestone di un prossimo riassetto sostenibile, non solo fisico, ma socio-economico e civile del paese.

Oggi, però, questo «tesoro» italiano – lascito delle molte civiltà stratificatesi nella nostra evoluzione spaziale e temporale – è sempre più obliterato, abbandonato al degrado, occultato, «affogato» dall’abnorme crescita urbana, dal pervasivo consumo di suolo che fa del territorio italiano la disastrosa, esasperata punta di un fenomeno, sprawltown, la città diffusa, che marca negativamente vaste regioni europee e occidentali.

Due cifre emblematiche di quella che sta diventando una catastrofe ci vengono dagli osservatori sul consumo di suolo, operanti presso diverse università, e riprese dal Coordinamento per la Difesa del Paesaggio: le rilevazioni satellitari restituiscono suoli urbanizzati pari a quasi il 20% dell’intera superficie territoriale nazionale, mentre le stime aggregate dall’ultimo censimento forniscono un numero di quantità di stanze vuote superiore ai 25 milioni, di cui circa un quinto localizzato nelle grandi città, e quasi altrettanto nelle villettopoli costiere e turistiche.

Tale sfracello di produzione edilizia se, paradossalmente, non risolve la domanda abitativa sociale – essendo determinata e dominata dai cicli della rendita speculativa, urbana e soprattutto finanziaria – ha prodotto ingenti quote di «urbanizzato contemporaneo abbandonato»; conseguente alla dismissione recente di attività produttive, industriali e agricole, commerciali, di servizio, o residenziali. O semplicemente, è stata dovuta dalla velleità di realizzare macrostrutture – infrastrutture, attrezzature – tanto gratificanti per il consenso suscitato dal loro annuncio, quanto spesso inutili e ingestibili per il contesto in cui si calavano.

Agli edifici storici abbandonati, di cui all’apertura, si è aggiunta così una quota ingentissima di cementificazione dismessa di recente.

Il Wwf, con le sue migliori competenze tecnico-scientifiche, insieme ad una decine di sedi universitarie nazionali, sta realizzando una ricerca in tutte le regioni del paese su caratteristiche e potenzialità delle aree abbandonate, storiche e recenti, e sulle loro prospettive in termini di riutilizzo ambientale e sociale. Oggi e domani presso l’aula magna dell’Università Roma Tre, nel complesso, appunto recuperato, dell’ex Mattatoio – verrà presentato il primo rapporto della ricerca.

Sono state censite circa 600 aree, corrispondenti ad altrettante «situazioni territoriali» (individuate anche perché rappresentative di categorie più vaste), in tutte le regioni italiane, suddividendole per caratteri tipologici e funzionali e per contestualizzazioni funzionali; in modo tale da prefigurare per ciascuna di esse non solo un progetto di recupero – pure importante di per sé -, ma la costituzione di «elementi forti» per strutturare e sostanziare processi di blocco di consumo di suolo e deterritorializzazione negli ambiti interessati.

Le categorie tipologiche individuate vanno dai manufatti storico-culturali in abbandono, anche se talora già vincolati per la tutela, alle aree archeologiche abbandonate, alle architetture di prestigio, alle infrastrutture dismesse o mai completate, alle fortificazioni militari, alle aree industriali in disuso, a macrostrutture realizzate e mai utilizzate o ingestibili, a spazi aperti da rinaturalizzare nella città consolidata, a vastissime porzioni di patrimonio residenziale da recuperare.

Le situazioni urbane e territoriali interessate nelle diverse regioni sono molteplici: da interi comparti interni alla città storica e consolidata, a mancate recenti «nuove centralità» che dovevano segnare le ex periferie, alla campagna urbanizzata da riqualificare, a molte aree costiere o collinari, o di elevata suscettività paesaggistica cui riattribuire senso ecologico tramite blocco della nuova cementificazione e strategie di restauro ambientale; utile anche per il riuso delle aree non solo industriali dismesse.

Il riutilizzo sociale e paesaggistico dei luoghi e degli intorni interessati presuppone anche la capacità di leggere i contesti, oltre i singoli siti: su questo spesso sono di ausilio i piani paesaggistici recenti – i cui progetti di riqualificazione ambientale vanno assumendo sempre più spesso i profili guida di prossime economie verdi territorializzate dei territori coinvolti- che, per dettato strategico-normativo, analizzano gli spazi regionali per ambiti locali e comprensoriali e spesso ne prospettano «scenari di tutela, riqualificazione e valorizzazione sostenibile», non solo ecoterritoriale, ma socio-culturale. In questo quadro, i cluster spaziali individuati dalla ricerca per il riuso possono giocare ruoli decisivi.

Il Report tocca anche un’altra questione sostanziale: chi può mettere in pratica queste «interessanti politiche» in un momento di profonda crisi della «Politica»? la ricerca recupera il concetto di «Laboratorio Territoriale», coordinamento di abitanti, ambientalisti, difensori del territorio, istanze di restauro civile e costituzionale, già presenti in alcune esperienze di difesa e recupero del territorio recenti, come le Reti del «Nuovo Municipio» o dei «Comuni Solidali», e mira a ricontestualizzarli sui paesaggi, anche sociali,individuati.