Le sinistre Pd si riuniscono, ma di qui a unirsi ce ne corre. Il renzismo è una sirena che si sente anche dall’Acquario di Roma, bell’edificio di fine 800 a un passo da piazza Vittorio scelto per l’assemblea «A sinistra nel Pd». Un ritorno sul luogo del delitto: qui si è consumata l’infelice attesa elettorale il 24 febbraio 2013, qui un tramortito Bersani due giorni dopo pronunciò quel «siamo primi, ma non abbiamo vinto»: l’inizio della fine. Sono passati due anni, ma le cose non vanno meglio.

La proposta è affidata all’apertura di Alfredo D’Attorre, bersaniano ala radicale: a tutte le minoranze presenti (bersaniani di osservanze diverse, cuperliani, dalemiani, bindiani, civatiani, fa capolino anche qualche raro lettiano non renzizzato) l’idea non è quella di un cartello di «anti», ma di «un gruppo congiunto camera-senato per modificare le riforme istituzionali e la legge elettorale». «Un coordinamento parlamentare», amplia lo spettro Stefano Fassina. «Un tavolo», spiega Miguel Gotor, che a margine ragiona: «Abbiamo un mese di qui all’approvazione delle riforme. Mettiamo tutto il Pd intorno ad un tavolo. Renzi non vada a cercare i voti da Verdini e dai residui frammenti di patto del Nazareno: parli con noi». Bersani guarda in prospettiva: «Facciamo qualcosa in estate in un luogo che assomigli a un palazzetto per lanciare alcune idee basiche».

Ma se deve essere il giorno dell’unità delle sinistre Pd, presto il film diventa un altro. Quello di Speranza contro Cuperlo, di Cuperlo contro D’Alema, di D’Alema contro tutti. Il colpo d’occhio già dice molto: in prima fila Bersani, Fassina, D’Attorre (che hanno fortissimamente voluto questo appuntamento), D’Alema, Barbara Pollastrini. Epifani ascolta per cortesia il primo intervento e va via. Cesare Damiano non c’è. Roberto Speranza c’è ma si smarca dalla compagnia e siede in disparte. Altri bersaniani «dialoganti» (con Renzi) gironzolano a tiro d’uscita. Resta in fondo l’ex ’tortellino magico’ Migliavacca. In piedi il dalemiano Sposetti. Di lato Pippo Civati, ma si nota perché non governa l’insofferenza con chi predica però vota sempre sì. Dal palco dice: «La riforma costituzionale non va bene dall’inizio, l’Italicum è contrario a quello che abbiamo sempre sostenuto, il jobs act andava fermato prima di andare in aula. Ma noi siamo alternativi o compatibili con il renzismo? E il renzismo è compatibile con la sinistra?». La presidenza annuncia «l’ospite» Nicola Fratoianni di Sel. E Ernesto Carbone, «ospite» pure lui: di un ’partito fratello’: il Pd di Renzi.

Quand’è il suo turno, Speranza chiarisce che i toni antirenziani non gli piacciono: «Mi sono stancato di sentirmi chiedere se faccio la scissione: no, no, no. Noi ci siamo nella battaglia di un Pd di sinistra, ma anche in quella di un Pd unito». Tradotto: proviamo a cambiare l’Italicum, ma niente voti in libertà. Quando torna al posto Carbone gli fa le feste. Allora Fratoianni chiede: «Come si fa a mettere insieme una sfilza di analisi talvolta anche più critiche delle nostre sulle politiche di Renzi e poi non essere conseguenti in parlamento?». Gli risponde Rosy Bindi, che la mattina è stata a Bologna in piazza con don Ciotti contro la mafia: «Non posso rassegnarmi a chiamare di sinistra un governo che non fa le cose di sinistra. Il 28 sarò in piazza (con la Fiom, ndr) e se non si faranno modifiche alla riforma istituzionale e all’Italicum non le voto. E se ci sarà il referendum sarò dalla parte di chi vuole abrogarle».

La platea confusa e infelice si scalda solo quando arriva Massimo D’Alema e «consiglia» unità alle correnti: «Io non sono partecipe di nessuno dei raggruppamenti in cui si suddividono le minoranze del Pd e non approvo che sia più di una. Diciamo che faccio parte della sinistra extraparlamentare». È in forma, ne ha per tutti. Innanzitutto per Renzi, che governa «con un certo carico di arroganza» un Pd che è «la più grande macchina redistributrice del potere, che ne fa la più grande forza di attrazione del trasformismo italiano». Ma ce n’è anche per i compagni: «Non serve pronunciare ultimatum, quando serve si danno colpi». Smorfia di Bersani in prima fila. Poi propone «una grande associazione per il rinnovamento e la rinascita della sinistra», «non un nuovo partito» ma «uno spazio di partecipazione ai cittadini, del Pd o no». Si torna ai tempi ruggenti di Red? Forse c’è una malizia in più: il presidente di Italianieuropei non può non sapere che si chiama proprio così, Associazione per il rinnovamento della sinistra, l’Ars del ’comunista democratico’ Aldo Tortorella, che nel 2000 riunì i dissidenti Ds: che poi non entrarono nel Pd.

Su twitter Lorenzo Guerini replica: «Renzi ha stravinto il congresso, qualcuno se ne faccia una ragione». E l’ex dalemiano Orfini bolla i toni di D’Alema come «degni di una rissa da bar». In sala invece c’è chi si spella le mani. Non Gianni Cuperlo, il ’suo’ Cuperlo, l’ultimo rimasto dei suoi. Che per la prima volta pubblicamente gli sbotta contro: cose «giustissime», risponde, «però dovresti chiederti, con rispetto per la tua storia, perché la sinistra ha ceduto culturalmente negli anni in cui ha avuto il potere. Noi oggi cerchiamo l’unità della sinistra con fatica. Ma se tu e gli altri aveste fatto il vostro dovere forse oggi la montagna sarebbe stata più facile da scalare». Renzi può stare tranquillo, e infatti ci sta: prima di fare i conti con lui, la sinistra Pd deve fare i conti con se stessa.