A Jeddah è andato in scena il teatrino anti-Isis, qualcosa di separato, di distante dal campo di battaglia iracheno dove ieri veniva alla luce l’ennesima fossa comune: 400 i corpi ammassati a Ahmidat, vicino Mosul. Le promesse di prendere parte ad una nuova guerra al terrore non si concretizzano. Al contrario, Jeddah svela il reale obiettivo dell’asse sunnita mediorientale: l’indebolimento dell’influenza iraniana e la caduta del presidente siriano Assad.

Dopo il discorso alla nazione del presidente Obama che ha annunciato l’invio di altri 475 consiglieri militari in Iraq (ora sono oltre 1.600) e aperto a raid contro le postazioni jihadiste in Siria, il fedele segretario di Stato Kerry ha incontrato gli alleati per disegnare la nuova road map mediorientale. Lungi dal voler impatanarsi in un secondo Iraq o in un nuovo Afghanistan, Washington tenta di allargare il fronte internazionale ma per ora ottiene solo l’impegno ad arginare i fiumi di denaro che dal Golfo arrivano nelle casse jihadiste.

A Jeddah c’erano tutti, tutti quei paesi che hanno chiuso un occhio o attivamente permesso lo sviluppo repentino dei gruppi islamisti. Ma di fatti ben pochi. La prima a tirarsi indietro è la Turchia, da tre anni impegnata a urlare slogan di guerra contro Damasco. Ieri Ankara (su cui ieri è piovuta l’accusa di aver curato nei propri ospedali 8 leader dell’Isis feriti in Siria) ha precisato il tipo di impegno che offrirà, ufficialmente per difendere da rappresaglie i 46 ostaggi turchi in mano jihadista: gli Usa potranno usare la base aerea di Incirlik per operazioni umanitarie, ma non militari. Un passo in più (contro Assad, altro che Isis) lo fa l’Arabia saudita: gli Stati uniti addestreranno le opposizioni siriane sunnite a Riyadh. Dubbioso il ruolo del Qatar, dove ha sede la base Usa al-Udeid: a sfavorire Doha sono gli scontri in corso con il Consiglio di Cooperazione del Golfo, per il suo aperto sostegno ai Fratelli Musulmani.

E mentre l’Egitto promette di proseguire nella lotta al terrorismo in Sinai contro Ansar Beit al-Maqdis e la Giordania – considerata prossimo obiettivo di al-Baghdadi – di mettere a disposizione i servizi segreti, al gruppo dei volenterosi si aggiunge Israele: il ministro delle Finanze Lapid ha prospettato un ruolo di secondo piano per Tel Aviv che offrirebbe l’intelligence.

Insomma, a Jeddah, c’erano tutti. O quasi: mancavano – come sottolineato dall’ambasciatore russo in Libano – Teheran e Damasco, il temuto asse sciita che la Casa Bianca svicola, nonostante le storiche proposte di collaborazione espresse (fonti anonime dicono proprio su spinta di Mosca). La delegazione Usa è stata chiara: l’Iran non rivestirà alcun ruolo nella coalizione. Ci si nasconde dietro un dito: sul campo la cooperazione militare Usa-Iran è un dato di fatto. La Repubblica Islamica non ha nascosto il fastidio per raid in Siria senza un coordinamento con Damasco, mentre la Russia avverte Washington: bombe senza l’ok dell’Onu sarebbero un «atto di guerra». Gli fa eco il governo Assad, che ritiene l’operazione anti-Isis la migliore scusa per realizzare quanto ventilato un anno fa, un attacco alla Siria.

Il plauso è giunto ovviamente dalla Coalizione Nazionale Siriana, federazione delle opposizioni moderate fino ad un anno fa considerata l’unica legittima rappresentante del popolo siriano e oggi isolata sul piano diplomatico e militare. Eppure riceverà altri 500 milioni di dollari, un modo – nella visione di Obama – per controbilanciare l’indesiderato sostegno che Damasco guadagnerà dalle bombe. La Coalizione si è detta pronta a lavorare con la comunità internazionale se ai raid aerei si accompagnerà una strategia volta a rovesciare Assad.

Di certezze, però, ancora poche: Obama ha volutamente evitato di dire quali target colpirà in Siria e quando. Un intervento lanciato senza consultare Damasco provocherà ripercussioni: le crisi siriana e irachena fanno tremare i fragili equilibri regionali e i settarismi interni a Baghdad e Damasco sono ormai terreno di scontro tra il fronte sunnita, guidato da Riyadh, e quello sciita, con a capo Teheran.