Nella sua poesia Atelier, contenuta nella raccolta Pau-Brasil (1925), Oswald de Andrade (1890-1954) definisce Tarsila do Amaral «caipirinha vestida por Poiret» – ossia «ragazza di campagna vestita con abiti di Poiret» (il famoso stilista francese). Tarsila è stata una figura di spicco della prima fase modernista dell’arte brasiliana, capace di fondere con pari dignità influenze europee e indigene. Ancora nel 1925, su «O Jornal», Oswald scrive: «Tarsila do Amaral ha fondato la grande pittura brasiliana, mettendoci alla pari con la Francia e Spagna dei nostri giorni. Sta creando la più grande opera mai prodotta da un artista del Brasile».
Tarsila do Amaral (1886-1973) nasce a Capivari, nello stato di São Paulo, in una famiglia d’immensa ricchezza, accumulata grazie alle fazendas delle piantagioni di caffè nell’entroterra paulista, dove Tarsila e i suoi sette fratelli trascorrono l’infanzia. Da bambina, impara a leggere, scrivere, ricamare e parlare francese dalla giovane belga Marie van Varemberg d’Egmont. Quindi va a scuola a São Paulo, in un istituto di suore nel quartiere di Santana e al collegio di Nossa Senhora de Sion, e completa i suoi studi a Barcellona, all’istituto Sacré-Coeur de Jésus. Nel 1905 visita per la prima volta Parigi.
Rientrata in Brasile, nel 1906 sposa il dottore André Teixeira Pinto con il quale concepisce la sua prima e unica figlia, Dulce. Il matrimonio non dura a lungo, perché il marito avversa la vocazione artistica di Tarsila. Ciononostante, a São Paulo Tarsila compone poesie, suona il pianoforte e dipinge; nel 1916 studia scultura, mentre nel 1917 prende lezioni di disegno da Pedro Alexandrino Borges, presso il cui atelier incontra Anita Malfatti (1889-1964). Poi entrambe diventano allieve del pittore Georg Elpons, «l’unico impressionista di São Paulo».
Nel 1920 si trasferisce a Parigi, dove frequenta l’Académie Julian e segue i corsi di Émile Renard; inoltre, espone un Portrait de Femme al Salon de la Societé des Artistes Français del 1922. Eppure l’impatto con la scena artistica parigina è deludente; e, in seguito, Tarsila lamenterà il fatto di essersi ritrovata nel pieno della stagione pompier e di non aver visitato nessuna galleria d’arte moderna. «Dopo due anni di soggiorno in Europa, ritornai con una scatola piena di bei colori, tanti abiti eleganti e poca cultura artistica».
Di rientro a São Paulo scopre invece un’atmosfera effervescente. Malfatti la introduce nel circolo dei letterati d’avanguardia: Menotti del Picchia, Mário de Andrade e Oswald de Andrade – grande ammiratore di Marinetti –, già tra i promotori della Semana de Arte Moderna (Settimana di Arte Moderna): storica rassegna di arti visive, conferenze, concerti e letture di poesie, tenutasi nel febbraio del 1922 presso il Teatro Municipal di São Paulo. Tarsila, che essendo ancora in Francia non ha partecipato alla Semana, lo stesso anno forma con del Picchia, Malfatti, Oswald e Mário de Andrade il Grupo dos Cinco (Gruppo dei Cinque). L’artista ricorda che «sfrecciavano come pazzi nella Cadillac di Oswald, viaggiando ovunque con il dinamismo di Assis Chateaubriand, per liberare quel fuoco interiore che reclamava uno sfogo». Secondo lei, Oswald aveva scelto una Cadillac perché munita di posacenere, optional raro in altri modelli di auto. Di Oswald, con il quale si lega affettivamente, Tarsila realizza numerosi ritratti; al 1922, ad esempio, risale uno dei più noti: Ritratto di Oswald de Andrade (olio su tela, 51×42 cm, coll. priv.).
A dicembre Tarsila parte di nuovo per l’Europa, dove stavolta vive un’esperienza molto più gratificante. «Sono tornata a Parigi e il 1923 è stato l’anno più importante della mia carriera artistica. Ancora devota al Cubismo, sono andata da André Lhote. Un nuovo mondo si è rivelato alla mia mente inquieta quando ho visto le immagini cubiste a Rue de la Boétie, che avevo iniziato allora a frequentare». È un’assidua anche degli studi di Albert Gleizes e Fernand Léger. Oswald la raggiunge nella capitale francese. Del 1923 è un altro famoso Ritratto di Oswald de Andrade (olio su tela, 60 x 50 cm, Museu de Arte Brasileira, São Paulo), dalle connotazioni decisamente più cubiste. In un’intervista dell’epoca la pittrice dichiara: «Il Cubismo è un servizio militare. Tutti gli artisti, per diventare forti, devono passarci».
«Nel mio studio in Rue Hégésippe Moreau a Montmartre incontravamo tutti gli artisti d’avanguardia di Parigi. Lì organizzavamo spesso pranzi brasiliani. Feijoada, confettura di bacuri, pinga e sigarette erano fondamentali per dare una nota esotica». Nel corso di queste riunioni, in cui Tarsila è attenta a non creare incidenti diplomatici tra personalità o consorterie talvolta incompatibili, conosce tra gli altri Brancusi, Vollard, Jean Cocteau, Villa Lobos, Robert Delaunay e Satie.
Entra in contatto con il poeta Blaise Cendrars, che nel 1924 accompagna in un viaggio nelle città storiche del Minas Gerais, in Brasile, assieme a Oswald, Olívia Guedes Penteado, Mário de Andrade e altri. Da questa esplorazione Cendrars trae Feuilles de route 1. Le Formose, con immagine di copertina (A negra) e illustrazioni di Tarsila. Durante il viaggio la pittrice rimane incantata dai colori della flora e della fauna locale: è l’inizio della cosiddetta fase «Pau-Brasil», sintesi di una figurazione ingenua e primitivista con soluzioni formali cubiste ed espressioniste. Nel contempo, sul «Correio da Manhã» del 18 marzo Oswald pubblica il Manifesto da Poesia Pau-Brasil, a cui nel 1925 fa seguire il già citato Pau-Brasil, pubblicato a Parigi dall’editore Au Sans Pareil, con copertina e disegni di Tarsila.
Il 7 giugno 1926 la pittrice inaugura la sua prima mostra personale alla Galerie Percier di Parigi, in Rue de la Boétie, diretta da André Level. L’esposizione riscuote un buon consenso di critica. Il 30 ottobre dello stesso anno Tarsila sposa Oswald, e Mário de Andrade battezza la coppia «Tarsiwald», a sottolinearne l’affiatamento sentimentale e culturale, nonché il comune impegno nell’importazione delle novità occidentali volto al progresso della realtà brasiliana. Nella poesia di Oswald si percepisce l’impronta visiva di Tarsila, così come nella pittura di Tarsila è presente l’inconfondibile vena poetica di Oswald. Nel 1927 Tarsila realizza la copertina del Primeiro caderno do alumno de poesia Oswald de Andrade.
L’11 gennaio 1928 Tarsila dipinge un quadro come regalo di compleanno per Oswald che, non appena vede la mostruosa figura raffigurata, con una testa minuscola e i piedi colossali piantati pesantemente sul terreno accanto a un cactus, chiama il suo amico poeta Raul Bopp «per condividere con lui il suo shock.» I tre consultano allora l’Arte da Língua Guarani, dizionario scritto dal gesuita Antonio Ruiz de Montoya, e scelgono il titolo per il dipinto: Abaporu, «cannibale». Decidono quindi di avviare un movimento artistico e letterario radicato nella tradizione locale. Di lì a poco Oswald scrive il suo Manifesto Antropofago, di cui tiene una lettura a casa di Mário de Andrade; poi a maggio la neonata «Revista de Antropofagia» pubblica il Manifesto ornato da una riproduzione grafica di Abaporu.
Nel 1929, Tarsila tiene la sua prima esposizione personale in Brasile, al Palace Hotel di Rio de Janeiro, e quindi un’altra al Salon Gloria di São Paulo. Purtroppo il 1929, con la Grande Depressione, è anche l’anno del crollo dell’economia familiare di Tarsila, causata dalla crisi del caffè. Ed è soprattutto l’anno della separazione da Oswald, che la lascia per Pagú (Patricia Galvão) – all’epoca studentessa diciottenne, poi scrittrice e militante comunista. Simbolicamente, la fine della relazione tra Tarsila e Oswald segna anche la conclusione dei ruggenti anni venti del modernismo brasiliano.