«I manager della Camera hanno fatto un ottimo lavoro presentando il caso per la rimozione del presidente. Spero che i Repubblicani lo prendano sul serio. Ma non credo nei miracoli» (sul risultato del processo a Trump per impeachment). «Il paese può risalire dal danno fatto negli ultimi tre anni, sia alle istituzioni che alla politica interna e a quella estera. Ma solo se Trump non viene rieletto» (a domanda: «È possibile che l’America si riprenda dalla devastazione di Trump?»). «Uno devo votare chi si sente di votare. Ma una volta arrivati alla nomina per la presidenza bisogna unirsi all’unanimità per la vittoria di quel candidato. Quando ho perso la nomination, dal giorno successivo mi sono battuta per Obama (a domanda sul suo rapporto con Bernie Sanders). «È più facile che una donna presidente emerga da una democrazia parlamentare che da una democrazia presidenziale, come la nostra. Anche se abbiamo fatto molta strada. Oggi però, il nuovo elemento della diffamazione online, particolarmente aggressiva nei confronti delle donne e che, con ferocia, sta mettendo in difficoltà Elizabeth Warren, è un problema in più».

ACCOLTA con grandissimo calore dal pubblico del Sundance, Hillary Clinton è apparsa nel cavernoso antro del Ray Theater al termine della proiezione di Hillary, una miniserie di quattro ore prodotta da Hulu e diretta da Nanette Burstein. Il complicato puzzle della documentarista intreccia girato dal backstage della campagna 2016 (le immagini più belle, di una Hillary che alcuni di noi immaginavano ma che si è vista raramente, in pubblico), un’intervista di 17 ore all’ex Segretario di stato e una ricostruzione della sua biografia, dall’infanzia, all’ingresso in politica, ad oggi. Lucida, ricca di interventi (dalle compagne di scuola ai colleghi di senato, alla famiglia), venata di malinconia (il rimorso aleggia sull’apparizione di Bill Clinton ) e molto documentata, la serie ricostruisce lo straordinario iter politico di Hillary Clinton, lo zelo con cui gli avversari l’hanno combattuta e la bizzarra antipatia del pubblico che la perseguita dall’inizio. Senza recriminazioni, senza lamentele. È un ritratto da cui non nascono grandi novità. Se non forse una battuta di quando era ragazza a Bill, che le consigliava di entrare il politica: «Figurati! Non eleggeranno mai una donna pushy (letterale intraprendente, ingombrante) come me!».

NEL 2020, Hillary è anche un monito: certi aggettivi e certe tecniche usati per svilire la prima donna che ha sfiorato la presidenza degli Stati uniti sono quelli che la destra – e purtroppo certa sinistra – sta usando per Elizabeth Warren.