Nell’autunno del 1894, reduce da un giro di recite per la stagione teatrale organizzata, in America e in Europa, dal suo impresario Schurmann, Eleonora Duse raggiunge Venezia. Intende prendersi un periodo di riposo, soggiornare nel suo appartamento all’ultimo piano del palazzo Barbaro sul Canal Grande, tra San Vio e i Catecumeni, attiguo, ma separato da un rio strettissimo, al palazzo Dario.

«Ho lavorato anni e anni – tutta la giovinezza – e ora voglio un grande riposo. Ho guadagnato di che vivere: me ne accontento. Ho la più grande ricchezza: quella che consiste nel non desiderarla. Mi sono composta una piccola casa, i muri imbiancati di calce, all’ultimo piano di un vecchio palazzo, a Venezia, sotto i tetti, con una grande, grande finestra ad ogiva, da dove si domina tutta la città. È là che vado. L’autunno è tranquillo, e l’aria, come l’animo mio». Così scrive a Gegè Primoli.

Eleonora e Gegè si erano conosciuti alla fine del 1880 e si erano rivisti nel dicembre del 1882. Nell’autunno del 1883 Gegè, si era innamorato di Eleonora. Un sentimento declinato nella forma dell’amicizia, ma, pur nei modi e nei toni amicali, sempre affiorerà tra i due un che di confidenziale e di complice e, da parte di lei, uno speciale affidarsi, la certezza di poter fare sicuro conto su quel gentiluomo discreto, malinconico, appassionato.

«Duse’s private charm», il fascino privato della Duse, osservava Bernard Shaw recensendo l’8 giugno 1895 sul «Saturday Review» La moglie di Claudio, «non è stato ancora dato in pasto al pubblico. Lei vi dà il charm di Cesarina, della Locandiera, o di Margherita Gautier, ma non il suo».

Allo stesso modo, sostiene Gerardo Guerrieri, «la Duse non dava il suo charme privato ai fotografi: lo si trova soltanto in certe foto di Primoli», e in rare altre. Nella casa sul Canal Grande, in un giorno di quell’ottobre del 1894, col suo apparecchio fotografico, Gegè ritrae Eleonora (Eleonora Duse nel suo appartamento veneziano (sulla parete di fondo una «Madonna» di Bernardino Fungai), riprodotto in Lamberto Vitali, Un fotografo fin de siècle. Il conte Primoli, Einaudi, Torino, 1968, p. 220).

La luce piove dal lato sinistro, dall’alto, come da un’ampia vetrata o un lucernario. Il bordo dell’inquadratura accoglie, nell’angolo superiore, la silhouette di un capitello a tre lobi e le medesime volute son replicate, in basso, dalle zampe del tavolo fratino il cui piano s’imbianca sconfinando nel chiarore diffuso, non senza tuttavia tracciare una opportuna linea prospettica. Una mensola sgombra d’oggetti. Nella lieve penombra d’un angolo sfocano un tavolinetto di appoggio e, su un’étagère, pochi libri. I tappeti, nei riverberi chiari, appaiono volanti e danno l’effetto, a terra, d’un garrire sopito, piano, che distende e, al contempo, fa vibrare l’immagine.

Hai la sensazione d’una visione velata, proiettata su una mussola che ne svapori i contorni. Alla parete una tavola del Quattrocento: la Madonna congiunge le mani nel gesto di preghiera – o di adorazione – del Bambino. Così Eleonora sostiene aperto il volume alla cui lettura è intenta, stesa su un’aerea chaise-longue. Eleonora nel rispecchio dell’effige della Madonna di Bernardino Fungai. La marsina bianca le ritaglia e rende esile, scorporata vieppiù, la figura distesa, in un giuoco di bianco e nero che mima il pieno ed il vuoto. Sicché la materia pittorica del dipinto si rapprende della stessa materia delle ombre e delle luci naturali che la camera oscura registra sulla lastra. Un’unica stoffa cromatica e luminosa che uniforma, amalgama, apparenta e unisce gli arredi e Duse.

Questi tratti della fotografia di Primoli ci recano in forma compendiaria, quasi uno stemma, il ritratto di Eleonora artista. Ne restituiscono, integralmente, la ‘poetica’. Consonante con quanto di lei resta affidato alle testimonianze che raccontano la pasta della voce, l’attitudine del gesto e la intensità della loro reciproca misura.

Forse è da paragonare, questa immagine di Primoli, alla formulazione delle parole che d’Annunzio scrive pensate nella inflessione e nella movenza di Eleonora.

Azzardo una correzione a Shaw e Guerrieri: Primoli fonde artista e donna, non ci dà la Duse privata di contro alla pubblica.