Ritratto di donna attraverso più generazioni, 50 Primavere racconta i cinquant’anni di Aurore ( titolo originale) separata – il marito l’ha lasciata per una più giovane – precaria – fa la cameriera in un ristorante – con due figlie, la più piccola che vive ancora insieme a lei (col fidanzato deejay a carico) e la più grande che sorridendo felice le annuncia di essere incinta.

Aurore la prende male, colpa forse delle altalene ormonali, delle vampate di calore – a cui non c’è rimedio si dice sconsolata – di una menopausa che sembra mandarle in crisi l’esistenza. A peggiorare le cose ci si mette il nuovo proprietario del locale di cui la donna finirà (e assai giustamente) per liberarsi perdendo l’impiego, e il ritorno nella cittadina di provincia dove ha sempre vissuto del suo primo amore dei diciott’anni.
La scommessa di Bladine Lenoir, regista e anche attrice, è quella di mettere in scena un personaggio femminile nei passaggi dell’esistenza di una donna – menopausa, invecchiamento, diventare nonna – contro gli stereotipi culturali (ben autoindotti anche nelle donne stesse) che li definiscono «difficili» se non tragici, relegandole così a un ruolo (e non solo cinematografico) di marginalità.

«Il mio film – ha raccontato Lenoir in una intervista – è nato da una constatazione: una donna di cinquant’anni non esiste al cinema e nei media in generale. Per fare un esempio, nelle pubblicità dei prodotti antirughe ci sono soltanto ragazze di una trentina di anni. Ho sempre avuto paura di invecchiare molto più dei miei amici uomini proprio a causa di questa convinzione comune che si deve rimanere giovani altrimenti la vita si ferma. Ho osservato le donne di cinquant’anni sullo schermo: hanno delle parti piccole o dei destini tragici come se non potessero essere interessanti altrimenti. Perciò mi piaceva pensare a questa storia come a una vicenda straordinaria, quasi dal sapore fiabesco, anche se mette al centro una vita ordinaria. Aurore è una donna che sta attraversando la menopausa, i suoi figli se ne vanno di casa e lei fa i conti con la solitudine. Al tempo stesso però è una principessa molto concreta».

Meno male che Lenoir non vive in Italia dove per lo più si passa dai ruoli (rimanendo al cinema o nei media) da ragazzina scapestrata o sperduta a quelli di mamma-nonna, mentre oltralpe la gamma delle nuances sembra essere molto più articolata.  Il primo paragone che viene in mente è con Le cose che verranno di Mia Hansen-Love, anche lì la protagonista, Isabelle Huppert, è sorpresa dall’età col mondo che la mette da parte: il lavoro, il marito che va via, gli studenti che la contestano.

Cambia l’ambientazione, nel film di Hansen-Love borghesia parigina intellettuale, qui un proletariato di provincia stretto tra agenzie interinali dove la discriminazione per le donne sorpassa qualsiasi differenza, e un maschile, ex-mariti inclusi molesto o cialtrone (forse la parte più interessante ma poco sviluppata del film), e soprattutto la grazia di regia. Perché se non fosse per la fisicità complice di Agnes Jaoui, che fa vivere il personaggio di Aurore con generosità, la commedia di Lenoir rischia di rimanere un po’ intrappolata dalle sue stesse intenzioni. E il suo umorismo da quei luoghi comuni che vorrebbe smantellare.