Ladj Ly ha annunciato che I Miserabili sarà il primo capitolo di una trilogia. In questo suo esordio il regista ha concentrato dei ricordi che per lui descrivono ciò che è accaduto negli ultimi dieci anni nella città-satellite di Parigi, Clichy Montfermeil. I prossimi capitoli, sui quali sta lavorando, andranno indietro nel tempo. Il secondo episodio parlerà della rivolta delle banlieues del 2005 ( evocata anche in questo primo film) e sarà incentrato sulla figura di Claide Dinain, sindaco socialista e antirazzista più volte eletto a Clichy e scomparso nel 2015. Il terzo episodio dovrebbe tornare agli anni ’90 (e dunque alle rivolte che diedero a Mathieu Kassovitz l’idea dell‘Odio).

LA SCELTA principale del film – dal 18 maggio sugli schermi virtuali di MioCinema.it e su Sky Primafila Premiere) è proprio questa: condensare in 24 ore un periodo di dieci anni. Il lato romanzesco sta nella ricchezza dei personaggi. Tre sono centrali. Il primo è una sorta di Gavroche. Un ragazzino che all’inizio del film va a Parigi per vedere la finale, e che come tutti esulta quando la Francia (la squadra, che somiglia molto di più alla popolazione delle periferie che al resto del Paese) vince la coppa del mondo (siamo quindi nel 2018). Il film fa vedere come questa gioia collettiva sia illusoria. La tesi di fondo è che la Francia non è una, che c’è un apartheid, e il ragazzo ne farà l’esperienza sulla propria pelle.

L’altro protagonista è un poliziotto che viene trasferito a Montfermeil. Lo accolgono due colleghi, uno bianco, uno nero. Quest’ultimo è nato nel quartiere, ma ha deciso di diventare sbirro e per questo vivere con l’onta del traditore. L’altro è razzista, ha rapporti esecrabili con gli abitanti ma riesce ad intendersi con i vari mafiosi locali. Il novellino rappresenta una terza via: la polizia come dovrebbe essere. Via anch’essa illusoria. C’è poi un terzo personaggio – che ovviamente è l’alter ego del cineasta. È un ragazzino che filma tutto con un drone, dalle ragazze alle finestre agli abusi dei poliziotti. Senza raccontare l’intrigo, si capisce già da questo schema come il film sia tutt’altro che spontaneo. Anzi, per qualcuno come Ladj Ly che viene dal documentario si ha l’impressione opposta, ovvero di una sceneggiatura scritta con il righello e il compasso, di quelle che alcuni registi, conoscendo le tare delle commissioni, fanno confezionare da sceneggiatori professionisti per ottenere gli aiuti del Cnc (per poi girare liberamente).

IL SUCCESSO del film ha certo intercettato un bisogno di parlare della periferia, di far vedere quello che succede. D’altro lato, svolgendo questo compito con zelo, I Miserabili non va molto oltre. I suoi personaggi sono dei tipi umani. In sé non è un male (non c’è romanzo che non ne contenga), a condizione che essi abbiano anche un’esistenza effettiva. Ed è questo che manca qui. Non poteva esser altrimenti, scegliendo la formula del «tutto in 24 ore», che certo tiene alta l’attenzione del pubblico ma degrada ogni ambizione cinematografica. Il film non si attarda su nulla. Non lascia respirare nessuna scena. Non lascia esistere nessuno per se. Questione di ritmo, ma non solo. Si tratta d’un film che sembra non dare importanza a nulla – se non ciò che gli è utile. Non c’è una sola inquadratura dove i personaggi non facciano qualcosa. Nessuna inquadratura che non serva a qualcosa. In questo, si tratta di un film servile.

FACCIAMO l’avvocato del diavolo. Ladj Ly è un regista nero, al suo primo film. Non ha fatto la Femis (la prestigiosa scuola di cinema parigina). È nato in periferia. Dire che il suo film non appartiene al cinema (francese) – che in sostanza è quello che stiamo dicendo, non è fare esattamente il torto che viene fatto al suo Gavroche? Quello di negargli la cittadinanza? Porre questa domanda, scriverla, è ovviamente più importante che rispondere (che vuol dire solo auto-assolversi). Di fatto I Miserabili appartiene di diritto al cinema francese tale e quale si fà oggi, maggioritariamente. Vale a dire al cinema commerciale, che la nuova direzione del Cnc vorrebbe prendere a modello per il resto. A questa tendenza I Miserabili non resiste. Anzi, la incarna. Il suo messaggio non è forse tutto da buttare. Ma il film non ha nulla di ribelle. Non a caso è stato indicato come esempio da seguire da parte di un presidente autenticamente reazionario quale Emmanuel Macron.