Olivia è una scrittrice di successo chiamata in provincia per coordinare un gruppo di ragazzi in un laboratorio letterario. L’obiettivo è quello di scrivere un thriller in modo «partecipato» mescolando il genere alla storia dei luoghi. Ma: come inventare un rapporto, e trovare un equilibrio che permetta di avanzare nella creatività? In quali punti incontrarsi e dove mantenere una distanza? Laurent Cantet torna a quel dispositivo che attraversa tutti i suoi film (la sceneggiatura è scritta ancora con Robin Campillo), la circolazione della parola all’interno di una dimensione collettiva «ristretta» come mezzo per illuminare le contraddizioni che agitano la società francese (e non solo) contemporanea.

In questo senso il film più vicino a L’Atelier – presentato lo scorso anno al festival di Cannes, e film di apertura di Filmmaker 2017 – è La classe (Entre les murs, 2008) con cui il regista francese vinse la Palma d’oro. Se lì erano dei ragazzini in un’aula scolastica, qui siamo invece davanti a dei giovani adulti i quali, compresa l’iniziale diffidenza nei confronti della donna arrivata da Parigi – frattura che non è soltanto quella tra la provincia e la capitale ma rimette in gioco altro – rappresentano speranze e rivendicazioni che animano o dividono la realtà d’oltralpe: dalla ragazza figlia di immigrati algerini comunisti al giovane musulmano, al ragazzo di famiglia africana, fino a colui che subito si pone come il più ostinato antagonista al progetto, Antoine (l’ottimo Mathieu Lucci) – senza desideri se non quello di distruggere tutto, anche se stesso.

Solitario, chiuso sempre nella sua stanza davanti ai videogiochi, un gruppo di amici e cugini sedotti dall’estrema destra sarà però proprio lui, nuovo Lacombe Lucien con la sua ostentata provocazione, a diventare per la donna la misura del suo gesto di insegnante e di scrittrice. Tra i due si instaura un rapporto strano, sfuggente e insieme di attrazione (anche erotica seppure mai dichiarata): il ragazzo esprime critiche ai suoi libri pertinenti mentre Olivia, magnifica Marina Fois, all’inizio dolcemente autoritaria, e attenta a concentrarsi sulla pedagogia, finirà per trovarsi sempre più spiazzata.

Siamo a La Ciotat, una delle tate città francesi svuotate dalla crisi economica dove la chiusura dei cantieri navali, negli anni ’80, ha lasciato ai più giovani, tra cui i ragazzi dell’Atelier, come unico orizzonte la fuga. Ma La Ciotat è anche la città dei Lumière, delle «origini» del cinema (qui venne filmato L’Entrée d’un train en gare de La Ciotat); quell’immagine del reale «ricreata» che è la tensione su cui lavora Cantet, interrogandosi su come esprimere nel cinema la dimensione del presente, la politica, in una forma astratta quale la trasmissione dell’esperienza e i conflitti che comporta.

Col passare dei giorni si delinea uno spazio comune: le storie dei ragazzi uniscono inquietudini dell’età, rap, la cronaca a cominciare dagli attentati del Bataclan, la radicalizzazione, le critiche o le frustrazioni su come tutto questo viene narrato in Francia relegando molti di loro agli stereotipi, il precariato; e la memoria non diretta dei luoghi in cui vivono, l’esperienza operaia che non interessa più a nessuno, riportata da una ragazza attraverso i ricordi del nonno, un’epoca di battaglie e di condivisione.

Il rischio di cadere in uno schematismo, o di semplificare, è controllato da Cantet grazie ai dialoghi fluidi, mai retorici a cui aderiscono i suoi giovani attori – non professionisti.
E soprattutto è lo spostamento sui due personaggi, insegnante e allievo, a dare al film uno esito imprevisto, e insieme a tracciare nel lavoro del regista un passaggio nuovo. In quell’incontro impossibile, sospeso negli spari alla luna (una delle più belle scene del film), le fratture del presente si affermano con prepotenza, e tratteggiano l’immagine di una generazione la cui parola rimane negata.