Senza l’insegnamento della libertà nella scuola non c’è «cultura» che tenga. È il magistero che viene da una ricerca e un libro che scava nella memoria della scuola primaria durante il fascismo. Nello specifico: in tanti maestri e maestre che coniugarono l’amore il loro mestiere con quello per la libertà. Insegnare libertà – Storie di maestri antifascisti di Massimo Castoldi (Donzelli, pp. 172, euro 23) è un volume che affronta una riflessione sul senso dell’istruzione, oltre che sull’antifascismo dimenticato.
Furono tanti, infatti, i docenti della scuola primaria che si rifiutarono di piegarsi alle violenze, che cominciarono a imperversare in Italia già dall’inizio del movimento fascista e poi con la conquista del potere. Molti di loro furono perseguitati, numerose maestre costrette a umiliazioni indicibili, alcuni uccisi, mandati al confino, costretti a perdere il loro posto e la dignità di vivere.
Tutto il lavoro faticosamente messo in piedi con la costruzione di organizzazioni di categoria (dall’Unione Magistrale nata nel 1900 al Sindacato Magistrale dentro la Confederazione generale del lavoro nel 1919, per citarne soltanto alcune) veniva mano a mano spazzato via dalla brutalità del regime, proteso alla costruzione dell’uomo fascista, a partire dai bambini e ragazzini, dai «balilla». Così il salto di qualità che i maestri avevano messo in piedi dall’unità d’Italia in poi (educazione alla nazione unita, lotta contro l’analfabetismo), subì un arresto e l’Italia precipitò nel buio della sottocultura dittatoriale. Nel libro è narrata anche la storia dei maestri trucidati per non aver rinunciato alla loro libertà di espressione e di educazione. Carlo Cammeo, ventiquattrenne, fu ucciso a Pisa il 13 aprile 1921 nel cortile della scuola davanti ai suoi alunni da un gruppo di fascisti che gli sparò contro due colpi di rivoltella.
Poi c’è il maestro Franz Innerhofer, assassinato a Bolzano, Anselmo Cessi ucciso a Castel Loffredo in quel di Mantova, Salvatore Principato fucilato il 10 agosto 1944, tra i 15 martiri di Piazzale Loreto a Milano. E per la maestra di Ferrara Clelia Trotti ci sono la persecuzione e il carcere (è una delle protagoniste delle Cinque storie ferraresi di Giorgio Bassani), altrettanto per la socialista Alda Costa, la sarda Mariangela Maccioni e la novarese Abigaille Zanetta. Anna Botto, deportata, morì nel campo di concentramento di Ravensbruck.