Dalla crisi globale al debito «sovrano», dal debito all’euro, dall’euro al terrorismo. È facile vedere come il dibattito si concentri di volta in volta sul tema del momento. Si può così generare l’illusione che i problemi che non vengono più affrontati negli editoriali e in Tv siano stati risolti. Ovviamente non è così, e la strategia dello struzzo (mettere la testa sotto la sabbia) non si è mai dimostrata particolarmente salutare.

La crisi economica globale non è certamente finita, eppure non la si tratta più come un’emergenza. Il presidente Hollande aveva dichiarato che il suo principale nemico era la finanza. Pare che non la pensi più così…

È interessante vedere come la crisi ha prodotto le parole stesse per la sua descrizione. Sembra proprio che l’espressione «sistema finanziario ombra» sia stata usata da Paul McCulley nel suo intervento del 5 settembre 2007. L’inizio della crisi si era avuto nell’estate immediatamente precedente con lo scoppio della bolla immobiliare.

Negli anni seguenti si è focalizzato il fatto che il sistema bancario e finanziario è inesorabilmente reso fragile dalla decisione di «esternalizzare alcune attività caratterizzate, oltre che da elevati margini di guadagno, da un forte profilo di rischio da una rilevante trasformazione delle scadenze e della liquidità e da una elevata leva finanziaria», come spiega la Consob sul suo sito. In parole povere le banche hanno aggirato le regolamentazioni che ne impediscono le operazioni più rischiose creando un vero e proprio sistema parallelo di enti e società fuori controllo; la leva finanziaria è il rapporto fra capitale proprio e quello prestato (che può comprendere anche soldi presi a prestito e riprestati ad interesse diverso per conseguire un profitto). Ciò significa che quel capitalismo-casinò che è comparso alla ribalta fra il 2007-08, denso di avventurose innovazioni finanziarie e speculative e che tanto ha contribuito alla grande crisi attuale, ha potuto usare una emanazione del sistema «ufficiale» come sua struttura di riferimento. Nel momento in cui la crisi inghiottiva aziende, posti di lavoro e vite tutti facevano grandi discorsi di nuove forme di controllo e regolazione. La realtà è andata un po’ diversamente.

Lo stesso sito della Consob se riconosce che «i rilevanti rischi sistemici dello Shadow Banking System hanno accresciuto la probabilità di crisi sistemiche con gravi effetti negativi sull’economia reale» conclude con la spettacolare affermazione secondo cui «il sistema di shadow banking, se opportunamente regolamentato, potrebbe rappresentare uno degli strumenti più efficaci per promuovere la crescita in Europa».

Parole avventurose (oltre che contraddittorie), se nella stessa pagina si citano i dati di una istituzione frettolosamente messa su per controllare tali dinamiche, il Financial Stability Board (Fsb) per cui «si è assistito ad una crescita sostenuta passando da un valore delle transazioni complessivamente realizzate di 26 mila mld. di dollari ($) nel 2002 a quasi 67 mila mld. di $ nel 2011, pari al 111% del PIL mondiale e a circa la metà degli asset dell’intero sistema bancario».

Il problema è che il sistema non è affatto diminuito, semmai al contrario è cresciuto. Secondo il rapporto dello stesso FSB del 12 novembre scorso, che esamina 26 giurisdizioni distinte (includendo l’Irlanda per la prima volta), il preso del sistema finanziario ombra arriva a 36mila miliardi di dollari con un aumento medio del 6,3% annuo fra 2011-14. E gli incrementi più impressionanti si sono avuti nei paesi emergenti (Cina e Russia ad esempio). Ma senza risparmiare sorprese sul fronte europeo: l’Irlanda, in uno stupefacente grafico, mostra uno shadow banking corrispondente al 1190% rispetto al suo Pil. Tanto sul suolo celtico che nel resto del mondo la roboante «battaglia contro la speculazione» pare proprio non essere stata nemmeno combattuta.