Marta e Arturo si conoscono nel settembre del 2015. Marta, cognome Giaccone, ha ventisei anni, è fotografa free lance con lo sguardo rivolto al mondo degli adolescenti, della famiglia e delle donne. Arturo, dal 1957, è un ragazzino quattordicenne, più vecchio e meno spensierato di quello che vorrebbe la sua età. Marta vive a Milano, Arturo a Procida. Il primo incontro avviene grazie a un film di Damiano Damiani, che Marta ha scoperto sul web. Il secondo tra le pagine di un romanzo. Il ragazzino di Procida, se mai occorresse specificarlo, è il protagonista de L’isola di Arturo, di Elsa Morante, che nel 2017 compie sessant’anni dalla sua pubblicazione per Einaudi. Damiani lo mise su pellicola nel 1962, vincendo la Concha de Oro come miglior film al Festival di San Sebastian. Neppure di Procida, Marta conosceva l’esistenza. Ma è lì, verso un frammento di terra in mezzo al mare di Napoli, quattro chilometri quadrati e un perimetro di sedici, che la giovane fotografa, nel settembre del 2015, decide di orientare la sua rotta. «Ero rimasta affascinata dalla figura di un adolescente cresciuto in fretta tra la mancanza della madre, morta nel darlo alla luce, e l’eterna assenza del padre. E poi le nostre esistenze così diverse: io, sempre vissuta in città e sempre protetta dai miei genitori; lui venuto su da solo, nella dimensione di un’isola». Marta salpa verso Procida avendo negli occhi il viso dell’Arturo cinematografico, interpretato da Vanni De Maigret. La sua idea è di trovare qualcuno che gli somigli, uno ‘spirito guida’ da seguire per raccontare la vita degli Arturo di oggi. «Era solamente un’idea abbozzata, mi succede sempre quando inizio un lavoro. Infatti, il giorno dopo il mio arrivo, ho capito che avrei dovuto seguire un’altra via. Quel giorno stesso ho avvicinato una ragazza sulla spiaggia, dicendole che venivo da Milano e che mi sarebbe piaciuto passare del tempo con lei e i suoi amici per capire il loro modo di vivere. Ha risposto subito di sì, facendomi diventare parte del suo gruppo. È nato così un rapporto consolidato nel tempo, perché dal 2015 sono tornata a Procida tre o quattro volte l’anno, fermandomi ogni volta una settimana». Marta definisce la sua Rolleiflex biottica del ’72 una macchina meravigliosa nella lentezza dello scatto, e che proprio per questo la spinge a meditare le scelte. Nello specifico, ciascuna foto si rivelerà frutto di amicizie soprattutto al femminile, dove lei assume via via il ruolo di confidente cui rivelare pettegolezzi, amori, piccoli segreti. Nessuna scissione, nessuna separazione netta, tra i due momenti. Entrambi si compensano, si alimentano l’uno con l’altro. «Non ho mai pensato di voler costruire le immagini. Sono foto ‘posate’ nel senso che se i ragazzi, secondo me, stavano facendo qualcosa di significativo, dicevo ‘fermati, guardami’. Il progetto ha preso forma dentro un percorso di scambio reciproco». Marta Giaccone era di nuovo a Procida ieri, 22 settembre, giorno di inaugurazione di una mostra, ‘Ritorno all’isola di Arturo. 1957 – 2017: adolescenti di Procida oggi’, voluta dal comune negli spazi della chiesa di Santa Margherita Nuova. La sua mostra. Scrive Marco Viscardi nella presentazione «Procida è stata spesso ridotta a luogo addomesticato: dalle selvatichezze geografiche sei-settecentesche, alla fascinazione del pittoresco nel lungo Ottocento, fino al mito del buen retiro per pensosi visitatori. Ora su quest’isola introversa e sempre un po’ altrove si è posato lo sguardo di Marta Giaccone… Scompare, in questi scatti, la cartolina e riemerge profonda l’isola eterna e reale con le sue razze mescolate nei volti, ora moreschi, ora nordici, ora asiatici, di questi ragazzi dall’espressione imprendibile e imprescindibile. Viene meno il cliché, e rimane la loro verità profonda e non vacanziera, il senso di una stagione della vita – l’adolescenza – contrastata e difficile da dire. Ragazzi che stanno crescendo in questo scoglio staccato da tutto che a tutto è collegato, in questa periferia nel mare che sembra il centro del mondo e dei mondi». Dentro il quadrato fotografico imposto dalla Rolleiflex sono inscritti volti e situazioni che, pur non avendo alcunché di straordinario, conducono a pensarli avulsi da una quotidianità a noi familiare. Non scaturisce, tale impressione dal giovane seduto su una spiaggia e cosparso di sabbia nera; o da un altro, di spalle, che guarda il mare e gli scogli; o da un altro ancora, davanti al muro di una casa bianca e sotto un cielo azzurro cobalto. Identico pensiero emerge quando ci si sofferma davanti agli scatti che restituiscono volti e situazioni mille volte incontrati nelle strade e nelle piazze di Roma, di Milano, di Torino: capelli scolpiti alla moda, maglietta della squadra del cuore, due amiche abbracciate e sorridenti, la porta di un campetto da calcio e un portiere in erba che vola verso il pallone, un gruppetto seduto a parlare, una panchina o una scalinata per fermarsi o aspettare, dettagli di biciclette e di grosse scarpe da ginnastica. La differenza, però, sta tutta nell’isola. A Roma, Milano, Torino, come in qualsiasi cittadina o paese d’Italia, il ritorno a casa attraversa una dimensione urbana, chiede di salire su un autobus, una lunga passeggiata. Questa, invece, è Procida, quattro chilometri quadrati per sedici di perimetro; lo spazio obbligato dentro il quale si dipana la vita degli Arturo donne e uomini di domani. E allora viene da domandarsi se nei loro sguardi, nelle ore trascorse insieme, nella complicità di un amore acerbo, passino pensieri e sogni su un futuro che pare legato all’inevitabilità di andarsene, di lasciare l’isola. Racconta Marta «Una delle cose che più mi ha colpito nel romanzo è l’impossibilità, per Arturo, di riuscire ad abbandonare Procida. Vorrebbe, ma l’attesa del padre lo tiene inchiodato; sale su una barca, e fatti pochi metri torna indietro. Mentre ero là, ho registrato delle interviste che nella mostra non è stato possibile inserire. Ho chiesto a sette ragazze se, finite le scuole superiori, resteranno o partiranno. Quasi tutte vorrebbero andarsene, lavorare sulle navi da crociera, diventare ballerina di hip pop, architetto. Ma tutte, se un giorno metteranno su famiglia, allora, sicuramente, torneranno». Dai pannelli espositivi emerge un ulteriore elemento che avvalora la sensibilità e l’intelligenza di cui il lavoro è impregnato. Accanto alle immagini dell’autrice trovano posto alcune polaroid che lei stessa ha chiesto ai ragazzi di fare «Nelle pagine del libro, Arturo descrive molto in dettaglio l’isola. Così ho pensato a un doppio racconto, nel quale fossero i miei ‘soggetti’ a ritrarre gli angoli di Procida che amano di più, e potessero vederli subito in fotografia”. Un promontorio all’alba o alla fine di una giornata, un ramo sottile che entra in campo. Sulla sottile cornice bianca della Polaroid, una didascalia scritta a mano ‘Miez i frasc’, firmato Mimì. Chissà se Mimì partirà o resterà.

BOX

‘Ritorno all’isola di Arturo. 1957 – 2017: adolescenti di Procida oggi’, chiesa di Santa Margherita Nuova, fino al 30 ottobre, per informazioni info@martagiaccone. com. La visita della mostra è ovviamente e caldamente consigliata ai napoletani, che potranno approdare a Procida con una certa comodità. Chi napoletano non è, ma ha in serbo ancora qualche giorno di vacanza, potrebbe spenderlo per un fuori stagione isolano di grande fascino. Trovare posto in un B&B non è certo un problema e i prezzi autunnali sono molto, molto ragionevoli. Stesso discorso vale a proposito di trattorie e ristoranti. Suggerimenti e indicazioni sul sito visitprocida.it (lds)