La Corte penale del Cairo potrebbe rilasciare l’ex presidente Hosni Mubarak tra pochi giorni. La giustizia a orologeria arriva in tempo per esacerbare le proteste degli islamisti. L’accusa decaduta ieri riguarda un caso di abuso di potere per uso di fondi pubblici nei lavori di ristrutturazione del palazzo presidenziale e altre ville di proprietà dell’ex rais. Se i suoi avvocati danno per imminente il rilascio, che potrebbe provocare una nuova ondata senza precedenti di manifestazioni in tutto il paese, Mostafa Baz, funzionario del ministero dell’Interno, assicura che Mubarak resterà in prigione nell’ambito del processo su guadagni illeciti per donazioni al quotidiano filo-governativo Al-Ahram. «Basteranno delle semplici procedure amministrative e nelle prossime 48 ore Morsi potrebbe essere libero», ha confermato invece uno dei suoi avvocati Farid al-Deeb, che prevede per l’ex rais anche la restituzione dei gradi militari.

Abbiamo visto l’ultima volta il cinico volto di Mubarak nel maggio scorso. L’ex uomo forte egiziano emergeva tra le sbarre dell’Aula di tribunale dell’Accademia di polizia del Cairo. Da allora sembra passata un’eternità e, con il colpo di stato militare, il vecchio regime è tornato in pompa magna. In una visita tra le famiglie di feloul, che abbiamo effettuato nei giorni scorsi nei quartieri di Zamalek e Ragab, circolavano delle voci inquietanti. «Mubarak sarà rilasciato e Gamal (suo figlio) diventerà il prossimo presidente egiziano», ci ha detto Khaled, proprietario di uno dei negozi di un enorme centro commerciale, gestito dalla sua famiglia, legata al Partito nazionale democratico.

Un passo alla volta. È il 2 giugno 2012, quando Mubarak e il suo ministro dell’Interno El-Adly sono condannati all’ergastolo, mentre i vertici della polizia vengono prosciolti. Ma in seguito all’istanza presentata dagli avvocati, la corte di Cassazione, lo scorso gennaio, azzera il processo. Il tentativo di lasciare impuniti gli uomini del vecchio regime nasconde anche lo scontro all’interno della magistratura egiziana. Dal giorno del boicottaggio del referendum costituzionale (dicembre 2012), i magistrati hanno trasformato la rabbia verso gli islamisti in scontro aperto con i sostenitori di Morsi, strizzando l’occhiolino al vecchio regime. E così, la corte d’appello del Cairo ha stabilito già lo scorso aprile per l’84enne rais egiziano la libertà condizionata. Il tentativo di discolpare Mubarak è partito il 12 febbraio 2011, il giorno seguente l’annuncio del vice presidente Omar Suleiman che il vecchio leader avrebbe lasciato Il Cairo. Da quel momento Mubarak è stato prima trasferito a Sharm el-Sheykh, dove ha vissuto agli arresti domiciliari fino al processo del tre agosto 2011. Nei mesi seguenti, è andato avanti un tentativo costante di umanizzare il principale responsabile di trent’anni di autoritarismo rappresentandolo come malato e in costante necessità di assistenza medica tanto che per la detenzione preventiva si è preferito optare spesso per il confortevole ospedale militare di Maadi piuttosto che per il nosocomio del carcere di Tora.

Nonostante ciò, nello scontro tra pro e anti Morsi, ieri è stata raggiunta una tregua apparente in seguito alle dichiarazioni di apertura da parte del generale al-Sisi a una rinnovata partecipazione politica della Fratellanza. E così, molte manifestazioni sono state cancellate.

Abbiamo partecipato all’assembramento di Mohandessin. In queste manifestazioni, i giovani sostenitori di Morsi hanno inaugurato il segno «4» con le dita delle mani (Rabaa, la piazza sgomberata, in arabo significa appunto quattro). In realtà, su Facebook è un brulicare di iniziative a favore della causa islamista. Gli attivisti hanno colorato di giallo i segni che rappresentano i momenti più tragici dello sgombero della piazza, un maniera per denunciare la violenza o semplicemente per passare il tempo durante il coprifuoco notturno e sdrammatizzare. E così si vede per esempio un coniglio che rappresenta le ombre cinesi a cui sono stati costretti i pro-Morsi durante i ripetuti blackout notturni, preludio dello sgombero. I pro-Morsi denunciano anche campagne intimidatorie da parte dei giovani di Tamarrod (ribellione) che hanno compilato liste di tutti i negozi vicini alla Fratellanza per boicottarne i prodotti. Per questo, i magazzini della catena Khir Zaman e Ragab Sons sono stati dati alle fiamme al Cairo. È molto difficile fare chiarezza poi sul numero dei detenuti islamisti trattenuti in queste ore. Proprio nel trasferimento in un carcere questa notte sono morti 38 islamisti, asfissiati dal lancio di lacrimogeni della polizia. Un gruppo di pro-Morsi tentava disperatamente di liberarli quando la polizia è intervenuta. Sembra essere tornati al 28 gennaio 2011 quando dalle carceri egiziane sono scappate decine tra salafiti, islamisti e criminali comuni in assenza di polizia. Ma questa volta, i potenziali fuggitivi l’hanno pagata cara. Sembra quasi certo invece che nessuno pagherà per le violenze nello sgombero di Rabaa al-Adaweya che hanno causato almeno 700 morti.