Il 9 ottobre 1963 alle 22:39 un’enorme frana si stacca dal monte Toc e si riversa nel bacino artificiale creato dalla diga del Vajont, alta 265 metri e larga 27.
La diga non cede ma si forma un’onda di 50 milioni di metri cubi d’acqua che distrugge a valle Longarone e i paesi adiacenti, a monte buona parte di Erto e Casso.In circa 4 minuti muoiono circa 2000 persone.
Oggi Longarone e Casso sono i luoghi simbolo della tragedia del Vajont, ma anche i luoghi dove cercare le risposte; città che mutano, mutevoli come le città invisibili di Italo Calvino. A valle Longarone, cancellata dall’onda, è una città senza identità: interamente ricostruita e grottescamente insignita dell’appellativo «città del gelato»; in bilico fra un presente e un passato che non si incontrano mai, fra il bisogno di andare avanti e quello di ricordare, fra l’indifferenza dei nuovi abitanti e la solitudine di coloro che, in pochissimi, sono sopravvissuti alla tragedia.
A Casso, invece, si è creata negli anni una duplice realtà: da una parte i diciassette sopravvissuti che hanno scelto di non andarsene, dall’altra il Centro per la Cultura Contemporanea di Casso che ha sede nell’edificio dell’ex-scuola elementare, lambita dall’onda e rimasta chiusa per quasi cinquant’anni: un centro per artisti in residenza che si confrontano direttamente con la traumatica realtà del paese di oggi.
L’incontro di queste due realtà ha dato vita a nuove dinamiche di indagine e di pensiero, a prospettive nuove in grado di andare oltre la mera commemorazione che rischia di ingabbiare la tragedia vissuta da quel luogo e da quelle persone. Qui il mutamento consente di rendere omaggio alla vita attraverso una visione diversa, non stereotipata dalla retorica del dolore; la possibilità di farsi domande nuove genera di per sé il risultato di cercare nuove risposte.
Oggi come ieri continuano a ripetersi eventi come questo, e a causa dell’indole umana non cesseranno di «accadere».
Questo lavoro raccoglie le testimonianze di coloro che hanno vissuto direttamente e che indirettamente continuano a vivere «la tragedia del Vajont», causata dall’uomo e dalle sue logiche di interesse. È la più grande mai avvenuta in Italia (probabilmente una fra le più dimenticate) e sembra essere vera solo se ti avvicini abbastanza.
L’autore di questi scatti
Martino Chiti (Livorno, 1976) studia cinema a Firenze per poi trasferirsi a Madrid, dove realizza un master di fotografia. Realizza anche documentari e reportage video e fotografici, oltre a lavorare con il video e i new media durante eventi di musica e arti visive. Come fotografo, filmaker e videoartista si dice «alla continua ricerca di sperimentazione». Ora sta per pubblicare un libro che ritrae 12 diverse metropolitane del mondo, un lavoro le cui grandi ispirazioni sono Walker Evans e Italo Calvino