Luci chine e aguzze, uno è dietro un banco, l’altro ha davanti a sé poche percussioni, batteria, oggetti non convenzionali il cui scopo appare ben chiaro fin da subito. Scende il buio, tutto comincia così, poi è come se ci si addormentasse e iniziasse un sogno. Gli spettatori vengono catapultati in un limbo dove si rintracciano trame sonore industriali, echi e rimandi alla gloriosa Detroit degli anni Ottanta, filtri delle civiltà tradizionali dell’Africa nera, sussulti funk. Si mischia l’esattezza delle macchine che utilizza Jeff Mills, uno dei padri spirituali della techno, alle tinte variabili del nume tutelare dell’afrobeat, Tony Allen. I due hanno messo in piedi uno spettacolo che è performance, perché così appare, ma soprattutto la necessità interiore di gridare forte le loro anime. Uno show presentato in anteprima il 14 dicembre 2016 al New Morning nella Ville Lumière di Parigi, che arriva il 1 ottobre all’Auditorium Parco della Musica di Roma nell’ambito del Romaeuropa festival.

Due pugili sul ring, Mills e Allen, che, come nell’interessante studio di Loïc Wacquant, professore associato alla Berkley e docente al Centre de sociologie européenne du College du France nel quale individua un parallelo attendibile tra la periferia neroamericana e il ring, manifestano la propria percezione dell’essere neri come fanno i pugili afroamericani sul ring, utilizzando metafore gergali e suoni onomatopeici che rimandano al ghetto, alla prostituzione, alla schiavitù.

Soprattutto alla grande liberazione da tutti questi nodi razziali imposti. Due artisti e uomini che hanno sempre avuto uno sguardo lungimirante, avvenente, in grado di coinvolgere attraverso le loro pratiche sonore tutto il menù possibile delle musiche neroamericane. Mills in ambito techno elettro sperimentale, il nigeriano Allen passando dall’highlife della sua terra al jazz, definendo lo stile percussivo ritmico dell’afrobeat insieme al compagno Fela Kuti, fino ad arrivare ad avere a che fare con esponenti del mondo rock e pop. Da Damon Albarn e Paul Simon fino a Thom Yorke. Un universo sonoro variegato: per dirne una, cosa ci farà mai nel prossimo disco di Jovanotti? Se lo chiedono in molti e con un bel velo di tristezza.

Ma lui è così, prendere o lasciare. .E solo oggi, a 77 anni, firma il suo primo disco per l’etichetta Blue Note, The Source. Quel suono che ha segnato milioni di batteristi e ha codificato l’estetica dell’afrobeat viene messo da parte. Allen gestisce uno dei suoi più grandi amori, il jazz. Il charleston suonato nella maniera di Art Blakey, le vibrazioni astratte di Max Roach risplendono in contesti sonori ricchi negli arrangiamenti che riportano a stilemi cari a Duke Ellington e Charles Mingus. Il tutto però è preso alla leggera, mai troppo tradizionale, mai troppo egocentrico il suo lavoro. A riprova la partecipazione piuttosto defilata di Damon Albarn. É suo quel flebile suono al pianoforte in Cool Cats che filtra attraverso i raggi delle percussioni di Tony Allen.