Korogocho è una baraccopoli di circa 100 mila abitanti costituita da 8 villaggi che nel corso degli anni sono diventati sempre più mono-etnici. È nata negli anni Sessanta come speciale insediamento indigeno per gli africani che non potevano risiedere a Nairobi, ma avevano un permesso speciale a fronte di un contratto di lavoro. La sua esplosione avviene negli anni ’80 in seguito a una serie di sfollamenti che hanno eliminato baraccopoli più centrali della città. È una sorta di villaggio urbano perché ha le dimensioni di una città, relazioni di tipo urbano, occupazioni di tipo urbano, multiculturalismo, ma nel contempo sono presenti anche caratteri culturali da villaggio: la relazione con l’assoluto, con il sacro, legami linguistici, sistemi di parentela. Inoltre, come le città, ha classi sociali, zone ricche e zone povere, zone più sicure e zone meno, presenza di molte religioni (circa 100 chiese, due moschee), zone maggiormente fiorenti dal punto di vista commerciale e ghetti.

Pur essendo il terreno di proprietà pubblica vi sono proprietari delle baracche (gli structures owners sono il 20% degli abitanti, di cui il 55% non vive a Korogocho) e affittuari (tenants, l’80% degli abitanti). Esiste quindi un fiorente mercato delle baracche che negli anni è diventato una parte importante del mercato immobiliare di Nairobi (dove nel complesso i baraccati sono circa 2 milioni).

LA CARATTERISTICA SALIENTE dell’essere baraccopoli e non quartiere povero è proprio legata all’impossibilità di migliorare, cambiare in base al proprio impegno, attitudini, capacità perché la non proprietà della terra e della baracca fanno sì che ogni impegno profuso nel luogo non appartenga alla persona. Migliorare la propria abitazione, la propria attività economica, sarebbe un investimento a perdere: in ogni momento le baracche possono essere abbattute. L’orizzonte temporale di riferimento dell’investimento è minore dei quello dell’investitore (non sa finché starà lì).

Nel 2004 a seguito di una importante campagna internazionale denominata WnairobiW il governo italiano ha accolto l’idea di rimettere il debito del Kenya contro un impegno di utilizzo dei fondi così “risparmiati” in programmi di lotta alla povertà e di risanamento urbano. Fin dall’inizio Korogocho è stato individuato come uno dei luoghi su cui avviare una sperimentazione.

ALLA PARTENZA DEL PROGETTO nel 2008 la situazione era la seguente: i proprietari delle baracche erano meno del 20% della popolazione e oltre la metà viveva al di fuori della baraccopoli, gli affittuari erano oltre l’80%. In seguito al processo partecipativo instaurato negli organi di rappresentanza degli abitanti l’80% erano proprietari delle baracche e il 20% affittuari: in pratica si sono rinforzati i pre-esistenti e sbilanciati rapporti di potere, sono stati istituzionalizzati a completo danno delle fasce più povere e deboli. Si è trattato di un tipico processo di elite capture: i potenti sono diventati i beneficiari del progetto estromettendo la popolazione target per cui il progetto era stato creato.

Tuttavia, è opinione comune che il progetto di upgrading stia conseguendo dei risultati positivi. A livello di educazione gli abitanti segnalano una maggiore presenza di scuole e prezzi più accessibili. La tutela della salute invece rimane un problema data la carenza di un sistema fognario, come di luoghi di cura e soccorso.

La costruzione di una strada asfaltata ha migliorato l’accessibilità e ha avuto un impatto positivo anche sull’economia locale e sulla sicurezza. Per contro le caratteristiche delle abitazioni non sono cambiate: restano di fango e lamiere.

KOROGOCHO DOPO 20 ANNI è ancora uno slum. Nonostante l’impegno della chiesa (missionari comboniani in primis), delle agenzie internazionali e della cooperazione italiana, Korogocho è ancora un luogo «senza»: senza infrastrutture (strade, scuole, centri pubblici), servizi (fogne, bagni), acqua, elettricità, sicurezza, diritti. Le case continuano a essere per la maggior parte di fango e lamiere di recupero e il pavimento è nel 55% dei casi anch’esso di terra. Il 61% delle famiglie per casa possiede una sola stanza. Il 62% dei residenti continua a non avere un servizio igienico e a usare la cosiddetta flying toilet. Le strade sono sempre di fango e inadeguate. Permangono condizioni malsane che alimentano malattie stando a diverse ricerche universitarie e delle Nazioni unite (Un-Habitat) riguarda oltre il 60% delle persone intervistate. L’Hiv si è ridotta, ma continua ad essere il doppio della media nazionale e affligge il 14% degli abitanti.

L’educazione è un costo importante da sostenere che impedisce a molti bambini di andare a scuola perché, sebbene la scuola elementare sia diventata gratuita a Korogocho, ci sono solo due scuole pubbliche assolutamente insufficienti rispetto alla richiesta, pertanto è necessario rivolgersi a scuole private o del privato sociale. L’insicurezza, insieme alla povertà, continua a essere considerata il maggior problema da parte degli abitanti (72%), le istituzioni continuano a essere percepite come assenti e indifferenti. Le aree povere che persistono sono le stesse degli anni ‘90: Grogon A e Grogon B.

IN SINTESI, L’UTOPIA di dare la terra ai poveri è rimasta tale. L’upgrading ha innescato un processo a due velocità dove ci sono persone che ne hanno tratto giovamento e altre che ne sono rimaste escluse, in particolare gli affittuari.

Ma Korogocho continua a essere un luogo di sogni e utopie concrete: un luogo di partecipazione dal basso. Il luogo non è cambiato molto ma le persone sì. È cambiata la vita ed è cambiata la prospettiva. Il sogno di un’altra Korogocho continua a essere possibile, perché uno slum è fatto di persone non di diamanti: «Non puoi vivere sempre come un animale», sentenzia Emmanuel, non sempre, non per sempre.

La partecipazione è una bella parola, ma va realizzata nella pratica. È necessario investire per rimuovere le barriere che la ostacolano, creare modelli di intervento e processi dove i poveri possano avere voce, altrimenti è solo propaganda, un populismo di facciata per dare a Cesare (al potere) ciò che è dell’uomo (il diritto).