«Sogno che i fotografi inizino a scrivere e che gli scrittori comincino a fotografare, che non ci siano più intimidazioni reciproche, che ogni attività sia l’indicibile, tanto il non detto quanto l’estensione dell’altra». Così Hervé Guibert scrive in un appunto, pensando forse alla sua duplice natura di scrittore controverso e di fotografo «amateur». Lo scambio di ruoli che pure sperimenta, quasi clandestinamente, nella sua pratica quotidiana rimane per lui un sogno irrealizzabile. Tra il 1975, quando il padre gli regala la prima macchina fotografica e il 1991, l’anno della sua scomparsa, Guibert decide di esporre le sue foto solo molto raramente. Teme la fotografia in quanto la considera una causa di follia, perché «tutto è fotografabile, tutto è potenzialmente interessante». Al contempo ne è inesorabilmente attratto.

IL LINGUAGGIO fotografico diventa infatti oggetto di studio, quando lavora al quotidiano Le Monde come critico, e il nucleo pulsante del suo racconto poetico L’image fantôme. A distanza di quasi trent’anni dalla sua morte due progetti espositivi si avvicinano con discrezione all’universo dello scrittore e fotografo francese, in cui si scontrano frammenti incandescenti di realtà e finzione. Ho steso un lenzuolo per terra, in corso negli spazi di FuturDome a Milano fino al 22 febbraio, è una traduzione visiva, concepita dal duo F/Q, del racconto erotico Les Chiens, scritto da Guibert nel 1981. Il libro esplora un’utopia pornografica in cui fantasia sessuale e piacere della narrazione, desiderio e violenza si sovrappongono e si confondono.

AL CENTRO dell’installazione di F/Q un tessuto riporta la traduzione italiana del testo che in un frammento recita: «ho steso un lenzuolo per terra, e sulla sua superficie bianca, con un pennarello, ho disegnato una specie di cartografia, l’ho diviso in strisce, in bavagli, in diversi lacci». E proprio come il narratore di questa fantasia masturbatoria, i due giovani artisti riproducono nello spazio vuoto di FuturDome una mappa invisibile in cui disporre due stampe di Francis Bacon e William Hogarth, una serie di nuove foto realizzate per il progetto, un insieme di oggetti erotici e non, alcuni arredi, una collezione di abiti, della carne cruda appesa a un gancio e altri elementi sonori e olfattivi.

LE OPERE e gli oggetti trasformati in feticci formano una morbosa costellazione di immagini e sensazioni, una rappresentazione multisensoriale che indaga l’ossessione per i corpi. In una parete spoglia è appesa una foto di piccolo formato scattata da Guibert nel 1979, dal titolo emblematico Lecture (livre ouvert / fenêtre), che ancora una volta stabilisce un nesso inestricabile tra testo e immagine, natura e rappresentazione.
Questo scatto proveniente da Les Douches la Galerie di Parigi, è il punto di contatto tra il progetto milanese e De l’intime, una personale dedicata all’opera fotografica di Guibert e presentata fino al 22 marzo nella galleria parigina.

«DE L’INTIME» è un percorso tra ritratti e autoritratti, immagini di oggetti familiari e descrizioni di spazi personali percorsi da ombre e riflessi, una selezione di apparizioni e sparizioni in bianco e nero rigorosamente anti-spettacolari e anti-sensazionalistiche. Come scrive Brigitte Ollier nella nota che accompagna la mostra, «in un’epoca caratterizzata dallo scoop, Guibert ha immaginato un’estetica dominata dall’inatteso».
Il lettore/spettatore vive ancora questa esperienza di improvviso smarrimento di fronte alla sua opera letteraria e al suo immaginario visivo che, in questi due progetti, trovano una possibile e provvisoria congiunzione.