Tre sole modifiche, la legge elettorale rimane sostanzialmente quella sottoscritta da Renzi e Berlusconi nello storico incontro in casa Pd. La prima modifica è quella sulla quale il Cavaliere ha resistito di più, dando il via libera finale solo ieri, a ridosso del pranzo. Sale di due punti percentuali la soglia da raggiungere per chiudere le elezioni al primo turno: con il 37% e oltre (era il 35%) la prima coalizione si aggiudica un 15% omaggio (era il 18%). Altrimenti ballottaggio. La seconda modifica è solo un ritocchino: scende di 0,5 punti percentuali la soglia di sbarramento per i partiti coalizzati. Prima erano esclusi tutti quelli sotto il 5%, adesso «solo» quelli sotto il 4,5%. Anche secondo l’ultimo sondaggio diffuso dalle televisioni Mediaset, ieri sera, è una modifica inutile. Non c’è nessun partito che sta sotto il 5% che riesce però a raggiungere il 4,5%. Sarebbero comunque esclusi Scelta civica, Sel, Udc, Fratelli d’Italia e Lega. Per la Lega però si farà un’eccezione. Grazie alla terza modifica. Battezzata appunto «salva Lega» perché apre le porte della camera a quei partiti che, pur restando sotto la soglia del 5% prevista per i partiti coalizzati, si presentano in non più di sette regioni (ad esempio quelle del Nord) raggiungendo il 9% in almeno tre.

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La doppia manovra sul premio di maggioranza, ispirata dal Quirinale, è il risultato che porta a casa Renzi dopo una settimana di trattative. Adesso c’è una soglia, il 37% appunto, e anche un limite al premio, il 15%. Sono due risposte a due dei problemi individuati dalla Corte Costituzionale nel Porcellum. Peccato però che si tratti di limiti solo formali. Perché nella legge Renzi-Berlusconi è rimasto il «baco» dei partiti fantasma. Cioè tutti quelli che con i loro voti permetteranno alla coalizione di aggiudicarsi il premio, ma non avranno diritto a neanche un deputato perché resteranno sotto lo sbarramento del 5%. Più di 150 deputati saranno così eletti con i voti dei piccoli partiti, ma nelle liste del partito più grande che vincerà le elezioni. Partito (Forza Italia o Pd) che a conti fatti avrà un premio di maggioranza di nuovo potenzialmente illimitato (in linea teorica fino al 49,9%, ma è realistico che si avvicini al 30%). Un meccanismo di «scorporo» dei voti dei partiti rimasti sotto la soglia dal conteggio per il premio di maggioranza era stato proposto da più parti, ma sul punto né Renzi né Berlusconi hanno sentito ragioni. A loro interessava esplicitamente «mettere fine al ricatto dei partiti minori». In particolare a Berlusconi stava a cuore impedire la possibilità che Alfano e Casini tentino la strada di una lista o di una coalizione autonoma. Ed ecco che la soglia, mostruosa, per un partito non coalizzato non è stata nemmeno messa in discussione: resta all’8% (e al 12% per la coalizione). Un anno fa, pur in presenza di un forte astensionismo, l’8% dei voti validi corrispondeva a poco meno di tre milioni di elettori: con il nuovo sistema saranno completamente esclusi dalla rappresentanza parlamentare.

Due le conseguenze immediatamente prevedibili. Nasceranno tanti finti partiti e liste di comodo destinati solo a raccogliere voti per il partito capogruppo, che corre per raggiungere il premio di maggioranza. E gli elettori dei piccoli partiti coalizzati, quelli che non hanno speranze di raggiungere il 4,5%, saranno incentivati a restare a casa se non vogliono regalare i loro voti al partito egemone. L’effetto del riparto nazionale dei voti, poi, regalerà la sorpresa di eleggere con il proprio voto non uno dei candidati (da tre a cinque) che si troveranno sulla propria lista circoscrizionale, ma magari uno sconosciuto a centinaia di chilometri di distanza. Il tutto è stato se possibile peggiorato ieri, quando Berlusconi ha dato via libera alle reintroduzione delle pluricandidature chieste da Alfano. Alla fine saranno sempre i capilista a scegliere chi far entrare in parlamento. E infine è rimasta l’assurda possibilità di candidare alla testa di ogni lista due candidati dello stesso sesso (indovinate quale), prevedendo l’alternanza solo a partire dalla terza posizione.

Renzi e Berlusconi si giocheranno così la loro partita, nel 2015. Il Cavaliere può tentare di vincere al primo turno, ma ha bisogno di tempo per risalire nei sondaggi. Il segretario del Pd esclude qualsiasi alleanza e dunque punta da subito al ballottaggio. E non ha mai messo in discussione la concessione più grande fatta a Berlusconi: la rinuncia alle preferenze, malgrado la sentenza della Consulta dicesse l’opposto, e malgrado il Pd avrebbe tutto da guadagnarci (non il suo nuovo leader che così nominerà i deputati). Le terze forze sono tutte sul piede di guerra, dai grillini che ieri sera hanno occupato anche la prima commissione ai centristi a Sel. Anche il partito di Alfano ha qualche riserva. Ma la minoranza Pd ha già fatto sapere che non creerà problemi a Renzi. Il regolamento concede però il voto segreto in aula, dove la legge, ancora da emendare, arriva oggi pomeriggio. Ma è solo una formalità che serve per accorciare i tempi quando si comincerà a votare, a febbraio. «Rapidissimamente», dice Renzi.