La parola «güero», si potrebbe tradurre biondo, oppure «roscio» in slang, in un paese come il Messico dove il colorito diffuso è piuttosto bruno, indica un complimento che sottolinea l’appartenenza di classe: l’ambiente infatti è quello privilegiato degli studenti universitari. A vederli più da vicino assomigliano piuttosto ai fuorisede che si barcamenano, in più siamo nel 1999 epoca di occupazioni ad oltranza con un blocco di almeno un anno contro la scuola di classe con la richiesta dell’abbattimento delle tasse universitarie.

Girato in bianco e nero, ci riporta all’epoca della nouvelle vague alludendo sicuramente alla nuova onda del cinema messicano che tanto fa parlare di sé (gli emigrati a Hollywood Iñárritu e Guillermo Del Toro con i loro successi internazionali sono ormai un caso a parte), anche se i giovani cineasti non hanno vita facile da un punto di vista produttivo e distributivo e il regista, che insegna in una scuola di cinema si chiede cosa ne sarà dei ragazzi che escono dall’istituto ogni anno.

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Più che un omaggio alla nouvelle vague il film esprime un’affinità, l’appropriazione del cinema da parte della nuova generazione. Il regista trentasettenne (che ha studiato alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra) mantiene a giusta distanza la storia che racconta: due universitari (fuorisede) Sombra e Santos, né militanti né impegnati a studiare, vivacchiano in un appartamento fatiscente, bloccati dallo sciopero. L’unico che riesce a scuoterli è il fratello adolescente di uno di loro spedito in città dalla madre perché non combini altri guai. Il suo scopo è andare a trovare il mito della musica rock del padre, Epigmenio Cruz «che un giorno fece piangere Bob Dylan» ora ricoverato in ospedale.

Tutti e tre si mettono in moto in un on the road cittadino da percorrere in tutte le direzioni, dai barrios malfamati ai luoghi del festival, alla città universitaria dove incontrano e portano con loro sull’auto sgangherata la leader politica Anna con maglietta a righe alla Jean Seberg in Fino all’ultimo respiro. A rievocare la nouvelle vague non mancano le scritte sui muri, il girovagare, la love story che adombra il triangolo e perfino lo svelamento della troupe che sta girando il film. Si parla di solitudine, ideali, ricerca di amore, utili giri a vuoto, piccoli passi verso l’età adulta. Siamo in zona più Truffaut che Godard, più nonsense che teoria, più sentimento che polisenso.

L’andamentoo, ironico e distaccato non solo del racconto ma anche della messa in scena, ad ogni passo inaspettato e divertente nella sua leggerezza, rendono il film assai diverso dai violentissimi ritratti della società messicana che abbiamo visto negli ultimi anni (cominciò Iñárritu con Amores Perros). Potrebbe esserci un collegamento con un film come Y tu mama tambien di Alfonso Cuarón dove i due interpreti erano Gael Garcia Bernal e Diego Luna (peraltro citato), ragazzi della classe media in viaggio e alla ricerca di sesso e non spacciatori o addestratori di cani feroci o accoltellatori.

La nota più drammatica di Güeros sembra essere la disillusione: non il colpo di pistola o la visione inattesa dei film della nouvelle vague che aprivano come uno schiocco di dita il velo su un futuro sconosciuto, ma lo svelarsi di una realtà non così mitologica come si potrebbe immaginare. Epigmenio è in realtà un povero vecchio che ha distrutto la sua carriera (mai veramente iniziata) per amore. E anche il tempo dorato della gioventù rischia di apparire, nella nebbia del ricordo, assai più eroica di come fu, quando era un’impresa convincere una compagna a saltare una manifestazione o far ripartire un’auto in panne. Ma la straordinaria colonna sonora evita l’amarezza. Opera prima premiata al festival di Berlino nel 2014, ha collezionato venticinque premi (tra cui cinque Ariel, i premi nazionali).