Non a caso per la sua esperienza da solista Guillaume Alric ha scelto di chiamarsi Enfant Sauvage, bambino selvaggio, che dice perfettamente, racchiude in due parole riverberanti – riecheggianti tutto un mondo feerico, favoloso e struggente – il senso di un disco, Petrichor, che è la rievocazione degli spazi e degli avvenimenti dell’infanzia. Se, come scriveva Pavese, «ricordare una cosa significa vederla – ora soltanto – per la prima volta» allora Petrichor costruisce davanti ai nostri occhi un universo sognante, fatto di elettronica, sintesi scintillante di sentimenti intensi, traboccanti, che si specchia in superfici di penombra, ma vibranti. Sovrastante il synth, si potrebbe dire che è un disco synthmentale: ce ne sono stati altri in questi anni a cui s’addice questo neologismo, e altri ce ne saranno, per fortuna; penso soprattutto a M83 che sembra essere un riferimento essenziale per Enfant Sauvage e a Stars Are Our Home dei Black Hearted Brother uscito nel 2013 con alla voce Neil Halstead degli Slowdive che all’epoca incise profondamente nell’ambiente shoegaze, elettronico, psichedelico.

E «PETRICHOR» è synthmentale sviluppando un motivo, un’ispirazione appena accennata in Dancehall, l’esordio del 2018 dei The Blaze, il duo francese di cui Alric è membro. Cioè un trasporto, una dimensione sentimentale che emerge a fior di pelle, sorge dalla trama emotiva di synth, quando sintetizzatori intessono l’arazzo di aurore disposto poi sullo sfondo, e da lì baluginano in continuazione come rossori celesti, brezze irretite dal cristallo, solitudini sonanti. Ciò soprattutto nel trittico iniziale, che è uno dei prologhi più belli ascoltati quest’anno, trionfo d’armonia e ritmo, a fronte però di una seconda parte forse non all’altezza di quel preludio sognante, in cui pare subentrare un po’ di stanchezza dopo quell’euforia che grondava di scorrerie e memorie. 58500 funziona come un’antifona melodica contrappuntata di «drum and bass», da cui s’arriva al secondo brano, Silent Love dove quell’imprimitura melodica si completa e si esalta: si fa gioiosa all’inizio, luminosa, per poi trascendere in nostalgia, tramonto trionfante. Ed è da uno di quei riverberi, di quei raggi verdi raggrumati orizzontali che poi nasce la progressione di A Misty Day, forse il capolavoro del disco, in preda al ritmo trasognato e intimo della deep-house fino a punte techno, punte di apnea notturna, erotica.