Nelle spire di questo tempo sospeso, ci si sofferma ad ascoltare i rumori nuovi – trilli di uccelli invece di scarichi automobilistici – della vita passata tra quattro pareti con l’intento di recuperare anche un po’ di musica travolta dalla frenetica quotidianità. Chiunque abbia un teenager nelle vicinanze sarà stato coinvolto nell’euforia 8d, una nuova frontiera dell’ascolto esclusivamente con gli auricolari o le cuffie che dà l’impressione di un suono avvolgente da tutte le parti, non più solo destra e sinistra come in uno stereo ma un effetto cerchio girando intorno alla nostra testa con l’ascoltatore al centro.

DA UNA CATENA su whatsapp i preferiti, al momento, sono Allelujah dei Pentatonix, Lucid dreams dei Juice World, Echoes dei Pink Floyd, Dance Monkey di Tones and I. Riprendendo, invece, sonorità trascurate o peggio dimenticate, vale la pena di riaccostarsi a Grace for drowning, il doppio album datato 2012 di Steven Wilson, ex leader dei Porcupine Tree, l’omaggio più riuscito al progressive rock, probabilmente ispirato anche dalla sua rimasterizzazione di album di King Crimson, Jethro Tull e Caravan, una calda psichedelia con suite e melodie dagli arrangiamenti curatissimi, dodici pezzi simboleggiati da Deform to form a star, una ballata al pianoforte trainata dalla sua morbidissima voce pronta a trasformarsi in un coro sintetico e trascendentale. Altro canto ineludibile quello del cavaliere tormentato, Neil Young, col suo immenso archivio contenente dischi ufficiali, album inediti, versioni alternative, live, film, video. Al neilyoungarchives.com ci si iscrive con una sottoscrizione (meno di twenty bucks a year) però ospita anche tantissimo materiale gratuito, disponibile per i visitatori, pescato nella mole di materiale creato e collezionato nella lunga carriera del cantautore canadese.

L’HOMEPAGE è simile a un giornale, il NYA Times–Contrarian con articoli e segnalazioni di varia umanità. There was a band playing in my head/And I felt like getting high, recita After the gold rush col marchio di fabbrica di quella elettricità acida dai tempi di Aurora, 1963, al recente Rainbow of Colors, 2019, attraverso centinaia di brani con testi scritti a penna, biglietti e altre memorabilia. Altro sito da seguire regolarmente www.manuchao.net ( e anche il suo facebook aperto) dove il menestrello franco-spagnolo pubblica alcuni video, tutti registrati a casa, da solo con la chitarra per rispettare l’emergenza, in queste nominate «coronarictus smily killer sessions», dove ci sono novità come Sonè otro mundo e Te echo de menos. Tuttaltro orizzonte, quello gaelico, impalpabile e sognante, di Eithne Patricia Ní Bhraonáin più nota come Enya, la fata delle saghe del nord, nel suo A box of dreams, un’antologia in tre volumi di successi, col suo canto celestiale sposato a elettronica d’assalto, radici celtiche, profonda spiritualità.
Quell’afflato mistico che percorre l’itinerario di Aretha Franklin, preghiere più carnali dall’altra parte dell’oceano, lei, figlia di pastore battista, bandiera di quella rivoluzione afroamericana anni ‘70, fatta di libertà, eguaglianza e diritti civili, trasformate in esplosioni di pura energia, urla e acuti, forte di una tecnica portentosa e di una voce da cinque ottave d’estensione per un cofanetto da cinque dischi, 100 Hits Legends.