«Se non ci saranno più le condizioni per agire in Mali ci ritireremo, ma rimarremo nel Sahel per combattere il terrorismo al fianco di quei paesi che hanno richiesto il nostro aiuto». Il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian è tornato a illustrare la posizione di Parigi alla vigilia del vertice tra l’Unione europea e l’Unione africana in programma a Bruxelles oggi e domani.

NEL GIRO DI POCHI MESI, i rapporti con il governo di transizione maliano sono diventati sempre più tesi. La richiesta della giunta militare di prolungare il periodo di transizione e l’arrivo dei mercenari russi di Wagner – confermato dallo stesso Putin, nei giorni scorsi, nell’incontro con Macron – sembrano punti fermi ormai superati.

Le Drian ha citato anche altri «ostacoli» alle capacità operative dei militari francesi impegnati nella missione anti-jihadista Barkhane. E di «incomprensioni» dopo il lungo lavoro diplomatico francese per coinvolgere una dozzina di paesi europei – tra loro anche l’Italia con 200 militari – nella «Task Force Takuba», raggruppamento di forze speciali che dovrebbe subentrare a Barkhane. Il riferimento è al recente arrivo di un contingente danese e al suo immediato rientro, dopo i disaccordi con il governo maliano motivati dal fatto di essere avvenuto «per procura e volontà francese», senza un accordo con Bamako.

L’ANNUNCIO DEL RITIRO dal Mali porrebbe fine a un’esperienza lunga 9 anni (operazioni Serval e Barkhane) considerata da Parigi una dimostrazione di sostegno nei confronti dei paesi del Sahel impegnati nella lotta contro la minaccia jihadista. Vissuta, al contrario, dalle popolazioni locali come un intervento di stampo coloniale che peraltro non ha risolto la progressiva insicurezza in quei paesi.

Secondo l’Afp sono, però, numerosi «i dubbi da parte dell’Eliseo di continuare la missione» a partire da un progressivo coinvolgimento degli altri paesi della forza di difesa africana del G-5 Sahel (Mauritania, Niger e Ciad, oltre al Mali e al Burkina Faso). Il Niger, che ospita il comando avanzato di Barkhane e dei suoi partner saheliani dal novembre 2020, non è molto attratto dall’idea di diventare la nuova base operativa della missione «Takuba» e la Mauritania ha mantenuto finora una certa neutralità sulla situazione maliana.

Per quanto riguarda il Burkina Faso, l’incertezza rimane grande dopo il colpo di stato del 24 gennaio. Nonostante lo stato maggiore francese abbia comunicato nelle scorse settimane «un aumento delle operazioni congiunte con i militari burkinabé e l’uccisione di una cinquantina di jihadisti», Parigi non ha ancora riconosciuto ufficialmente il nuovo uomo forte di Ouagadougou e nuovo presidente ad interim: il tenente colonnello Damiba.

NON A CASO ALLA CENA organizzata dall’Eliseo ieri sera sono stati invitati solo i leader di Niger, Mauritania e Ciad, oltre al rappresentante dell’Unione africana, quello della Comunità economica dell’Africa Occidentale (Cedeao), al Presidente del Consiglio europeo e al capo della diplomazia Ue. Un incontro informale che ha fatto da preludio al vertice Ua/Ue, che si apre oggi e che ovviamente affronterà anche la questione della lotta al terrorismo nel continente.

«Questo incontro è un nuovo importante passo nel dialogo e nel lavoro che stiamo portando avanti per l’adeguamento del nostro intervento nel Sahel nella lotta al terrorismo – ha ribadito Gabriel Attal, portavoce del governo francese – anche perché vediamo come la minaccia jihadista si stia pericolosamente diffondendo in altri paesi come il Benin o la Costa d’Avorio».

Errata Corrige

Le Drian: «Se non ci sono più le condizioni per restare andiamo via, ma rimarremo nel Sahel per a combattere il terrorismo». Oltre ai rapporti tesi con Bamako preoccupa la situazione in Burkina Faso. I dubbi dell’Eliseo alla vigilia del vertice Ue/Ua