David Satter, giornalista americano di stanza a Mosca e in forza come consulente a Radio Free Europe/Radio Liberty, l’emittente finanziata dal congresso Usa sulle cui frequenze, al tempo della guerra fredda, il verbo occidentale filtrava oltre cortina, non può rimettere piede in Russia per i prossimi cinque anni. Non gli è stato rinnovato il visto. La notizia può accrescere la tensione tra Washington e Mosca, su cui hanno già influito il caso Snowden e le polemiche, in vista degli imminenti giochi olimpici di Sochi, sulla «legge omofoba» promulgata di recente da Putin.
Per Satter, ex Wall Street Journal e Financial Times, mai tenero con il Cremlino, la decisione delle autorità russe, notificata a dicembre ma rimbalzata sui media solo ieri, è viziata da considerazioni politiche. La pratica – ha raccontato – era stata inoltrata in modo ineccepibile, tanto che era arrivata l’accettazione. Ma al momento del ritiro dei documenti presso l’ambasciata russa a Kiev, dove s’era recato, presumibilmente per seguire le proteste, Satter s’è sentito dire di essere ritenuto «indesiderabile».
Il ministero degli esteri russo ha presentato un’altra versione dei fatti: il giornalista s’era trattenuto in Russia oltre il tempo consentito e la mancata concessione del visto risiede in una violazione delle regole. Insomma, non è chiaro, quanto meno non ancora, dove stia la verità: se da una parte, se dall’altra, se a metà strada.
La faccenda è analoga a quella che vide come protagonista nel 2011 l’ex corrispondente del Guardian da Mosca, Luke Harding. Anch’egli su espulso. Per via degli articoli critici su Putin, sostenne la sua testata. Ma Sergei Lavrov, ieri come oggi ministro degli esteri, precisò che Harding, da allora rientrato a Londra, aveva semplicemente infranto le procedure.