Mi unisco volentieri al coro di pareri positivi, e più che positivi sulla nuova grafica di questo giornale.

Il primo pensiero che mi è venuto è forse anche indice di una specie di malattia professionale: sarà più bello, con tutti questi colori, le parole in rosso, e gli articoli più gradevolmente incorniciati, ritagliare con cura i materiali che vorrò – più o meno vanamente – conservare. Per leggere quello che non si fa in tempo oggi, rileggere con più attenzione, citare una frase un domani, chissà.

Scrivo ritagliare non a caso. Questa estate ho acquistato su una bancarella un paio di forbici con le lame molto lunghe, fatte apposta per tagliare pezzi di carta larghi (forse anche di stoffa, non saprei). So che le ho prese perché vedendole mi è improvvisamente riapparso il mondo perduto delle vecchie redazioni e tipografie, dove quel tipo di forbici era abbastanza diffuso, per quell’uso sulle pagine dei giornali.
Credo che molte persone, giornalisti ma non solo, conoscano la dinamica un po’ nevrotica di questa specie di fissazione. Si guardano i quotidiani del giorno, si leggono i titoli, alcuni occhielli e sommari, e una certa quantità di articoli. Ma c’è sempre un «resto» che non si riesce a smaltire. Magari quel lungo servizio nelle pagine culturali, l’intervista più lunga, quella notizia curiosa che si vorrebbe approfondire consultando altre fonti. E quindi eccoci a strappare le pagine, attenti a seguire i capricci delle fibre della carta, che in certi casi rispondono efficacemente alla direzione dello strappo, in altri si oppongono ostinatamente, determinando squarci che rompono la colonna di parole che vogliamo conservare. Che fastidio! Ecco perché ho investito qualche euro in quel paio di forbici, inaspettatamente apparso nel mercatino di un luogo di vacanza.

C’è da aggiungere che la mania del ritaglio può giungere – parlo per me – a eccessi patologici. Perché i giornali spesso si accumulano in attesa di una successiva selezione mediante strappi e tagli, e i fogli tagliati e strappati a loro volta crescono in altre pile che attendono di essere lette o rilette.

Alla fine – a meno che non si sia un genio dell’archiviazione come Filippo Ceccarelli – si finisce assediati dalla carta e giustamente redarguiti dai conviventi. Con forza d’animo ci si dispone a una ulteriore selezione, e molte preziose rimanenze vengono eliminate senza la desiderata lettura o rilettura.

È sempre utile però – almeno credo – riandare a certi fatti e commenti che si sono succeduti in un determinato periodo di tempo, anche solo riguardando in fretta titoli e immagini. E capita comunque che si riesca effettivamente a soddisfare l’interesse per quel pezzo che avevamo accantonato: sì, è valsa la pena di conservarlo!

Per cui faccio fatica a guarire da questo morbo, e soprattutto non riesco a strapparmi io stesso dalla carta, per convertirmi come tanti all’esclusivo uso di iPad o altri supporti elettronici per la lettura dei quotidiani. (Non parliamo dei libri!).

Ci ho riflettuto per giustificarmi. E ho concluso – so bene di non essere il solo, e forse di sbagliare – che il tipo di lettura che permette il giornale di carta è per certi versi insostituibile. Girare le pagine, tornare indietro, avere il colpo d’occhio di cosa viene prima e viene dopo, il tutto inframezzato da pagine di pubblicità che pure ci parlano del mondo, dei pensieri e degli interessi che lo abitano. Col vantaggio di essere molto più discrete dei video che si aprono spudoratamente mentre leggi online, e spesso non si capisce come fare a chiuderli: irritazione al massimo!