Nel cimitero di Sainte Geneviève de Bois un angelo riverso a terra e con un braccio a coprire gli occhi colmi di lacrime custodisce la tomba dello scrittore Gajto Gazdanov. Il monumento fu collocato molti anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1971, per iniziativa del noto direttore d’orchestra Valerij Gergiev, anch’egli, come lo scrittore, di origine osseta. Gazdanov è uno scrittore unico nell’ampio spazio della letteratura russa del Novecento: aveva conosciuto fin dall’infanzia continue peregrinazioni – dalla natia Pietroburgo alla Siberia, alla regione di Tver’, a Poltava, a Char’kov – poi a sedici anni si arruolò, era il 1919, nell’armata dei volontari di Vrangel’ per combattere i bolscevichi, si trovò ben presto in Crimea e da lì fu costretto a riparare a Costantinopoli.

Andò poi a vivere in Bulgaria e nel 1923 raggiunse Parigi, divenuta uno dei centri più importanti della diaspora russa dopo la rivoluzione, e qui fu costretto a dedicarsi a diversi mestieri, fra i quali quello dell’operaio alla Citroen. Allo stesso tempo si iscrisse alla Sorbona e fece studi storico-filologici: sebbene il romanzo Una serata da Claire – del 1930 – gli avesse guadagnato il plauso della critica e di due colossi della letteratura russa del tempo, Ivan Bunin e Maksim Gor’kij, per molti anni Gazdanov fu costretto a mantenersi lavorando a Parigi come tassista notturno. È questa l’esperienza alla base del suo romanzo Le strade di notte del 1941, nel quale si racconta di una Parigi lontana dagli stereotipi, se ne descrive la vita dei bassifondi, si delineano i più disparati tipi umani e sociali tra bozzetto fisiologico e «realismo magico» (così ha voluto caratterizzare il metodo letterario di Gazdanov l’artista e scrittore Serge Šaršun, ispirandosi alla definizione di Edmond Jaloux) nel 1932 che individuò in Gogol’ l’ispiratore di questo metodo letterario).

Nel 1932 Gajto Gazdanov entrò a far parte della massoneria, dietro presentazione di un altro importante rappresentante della letteratura russa dell’emigrazione, Michail Osorgin, il cui nome è strettamente legato anche all’Italia. Certo è che Gazdanov poté dedicarsi pienamente all’attività di scrittore solo nel secondo dopoguerra, quando le sue opere riscossero un più ampio riconoscimento tra i lettori. Dal 1953, con lo pseudonimo di Georgij Cherkasov, fu giornalista e redattore delle trasmissioni in russo di radio Libertà con sede a Monaco di Baviera, ma svolse anche un’intensa attività di critico letterario, offrendo chiavi di lettura assai affinate e coerenti per la comprensione del retaggio letterario della diaspora russa. Malgrado il successo di opere come Il ritorno di Budda (da non confondere con l’omonima novella di Vsevolod Ivanov), anche grazie alla assoluta disattenzione patita in Russia, Gazdanov rimase a lungo un caso letterario marginale, forse anche perché non si decise, diversamente da Nabokov – scrittore al quale è stato spesso accostato per il comune interesse verso la coeva letteratura europea e, in particolare, per la sensibilità modernista – a passare dal russo all’inglese.

Secondo alcuni, sebbene Gazdanov non abbandonasse il russo, nelle opere più tarde si sforzò tuttavia di trasferire la propria lingua in un contesto più propriamente europeo, anche per l’oggettivo distacco da quanto avveniva nella letteratura russa in patria. Non è un caso che nella sua opera si tenda spesso a distinguere due categorie di testi: i romanzi «russi» e quelli «francesi».
Fin dalla comparsa del primo romanzo, Una serata da Claire – dove l’esile filo di una recherche si dipana rievocando una vita lontana nel tempo, in una Pietroburgo oramai svanita e solo ricostruibile nella ricerca di profumi, suoni, memorie – si parlò dell’influenza di Proust, anche se Lázslo Dieneš, il curatore della sua opera, tende piuttosto a avvicinarlo all’esistenzialismo e, più concretamente, a Camus, e in particolare allo Straniero esaltando i tratti di alterità che segnano la biografia di entrambi gli scrittori. Il parallelo coinvolge numerosi eroi dei due autori, l’analoga predilezione per quanto di «cieco e istintivo» si nasconde nello spirito umano, il tema della violenza, della rivolta e del male metafisico.

Più recentemente si è tentato di evidenziare il legame della narrativa di Gazdanov con l’esistenzialismo, anche tramite la lettura di Kierkegaard, Stirner e, ovviamente, Dostoevskij, il cui lo Stavrogin, protagonista dei Demoni, è stato messo in parallelo con l’eroe del Fantasma di Alexander Wolf e. Molto più significativa è tuttavia la dipendenza di Gazdanov dal pensiero di Lev Šestov, che leggendo in chiave esistenzialista le opere del tardo Tolstoj, ma anche di Gogol’, Dostoevskij e Chechov, costituisce il punto di partenza per le riflessioni filosofiche che sottostanno alle opere di Gazdanov, ai romanzi e ai numerosi e bellissimi racconti. I grandi dilemmi dell’esistenza, il senso dell’insensatezza della vita, l’aspirazione alla morte, l’impossibilità di accettare la felicità, sono al centro del romanzo Il fantasma di Alexander Wolf.

A partire dagli anni novanta del Novecento, l’opera di Gazdanov ha ricevuto la dovuta attenzione in Russia con ripubblicazioni e studi critici e, anche in occidente lo si è riscoperto traducendolo nelle varie lingue europee. In Italia nel 1996 la casa editrice Ibis aveva presentato Una serata da Claire nella traduzione di Anastasia Pasquinelli, poi l’opera di Gazdanov è approdata alle cure speciali dalla Voland, che nel 2002 propose il romanzo Il fantasma di Alexander Wolf nella traduzione di Fernanda Lepre, che ha anche tradotto Il ritorno del Budda (2015), mentre nel 2011, per Zandonai, era uscito Le strade di notte nella traduzione di Claudia Zonchetti.

La pubblicazione ora di Risveglio – del 1965 – con il titolo Ritrovarsi a Parigi, proposto da Fazi nella traduzione di Manuela Diez (pp. 155, euro 15,00), apre uno squarcio sull’opera del tardo Gazdanov cui appartengono anche lo sperimentale Evelina e i suoi amici del 1968 e l’incompiuto Un colpo di stato, del 1971. Il romanzo ha protagonisti francesi, mentre i temi russi presenti nelle opere precedenti sono assenti, come rimossi. L’eroe della narrazione, Pierre Fauré, un semplice contabile di un’azienda della capitale, dopo la morte della madre e nel sofferto ricordo del complesso rapporto con il padre oramai defunto da anni, risponde all’invito di un vecchio compagno di scuola incontrato casualmente e lascia Parigi per trascorrere un mese in Provenza. Il viaggio sarà appunto un «risveglio», una sorta di rinascita, sia per il contatto nuovo e inatteso con il mondo selvaggio della foresta, sia per l’incontro con Marie, essere malato e indifeso, alla cui cura Pierre si dedica con dedizione e amore, portandola con sé a Parigi e riuscendo a salvarla e a riscoprire lati profondi della propria umanità.

Scritto con leggerezza, il romanzo ha tuttavia un certo piglio nervoso, che si esprime in uno stile ambivalente e sfuggente. L’intreccio ha una forte matrice metaforica e l’eroe si trova ad agire in situazioni di estrema tensione esistenziale, tra la vita e la morte, in una condizione nella quale gli stati d’animo, il gesto, la parola, acquistano una forte valenza simbolica. Del resto, anche guardando ai romanzi precedenti, si vede come gli eroi di Gazdanov si trovino sempre al limite di decisioni che hanno una rilevanza metafisica ed etica, e per le quali sembrano incapaci di distinguere il bene dal male.

L’eroe di Ritrovarsi a Parigi riesce invece in questo difficilissimo compito e il miracolo si compie: per lui e per il lettore, trasportato con leggerezza dal pulsare della vita. Non a caso Gazdanov aveva scritto: «l’arte diviene genuina quando riesce a trasmettere tutta la serie di esitazioni emozionali che costituiscono la storia dell’anima umana e sulla cui abbondanza si definisce nei singoli casi la minore o maggiore individualità di ogni singola persona».