La famiglia: il crogiolo delle repressioni, delle ansie, delle turbe di minimo tre persone (il massimo non ha limiti) messe a coabitare nel medesimo spazio. Dentro questo caos, per un certo numero di anni, si prova a crescere, imparare, ridere, giocare, gioire, comunicare. Insieme. Dentro questo caos, dopo un certo numero di anni, si dà di matto. Quindi il papà (o la mamma a seconda di chi è il più stressato) propone, tutto d’un tratto: ristrutturiamo la cucina/cambiamo la disposizione della stanza dei bambini/mettiamo la vasca idro-massaggio. Solitamente l’altro coniuge è in disaccordo ma non è in condizione di opporsi tanto la pace domestica si trovi sospesa sul filo, basata su sorrisetti di circostanza, tripudi di allegria forzata, proposte di gite in luoghi in cui nessuno vuole davvero andare.

 

 

Ci si imbarca al volo in una impresa più grande che mai. Si preventivano 3 settimane di lavori che diventano mesi. La famiglia tutta, animali domestici compresi, deve alloggiare altrove, dai nonni o da amici, fuori città, dove capita. Per i ragazzi è la festa: i genitori degli altri sono sempre i migliori, si mangia junk food senza divieti, a mezzanotte scatta la partita a carte illuminati da una torcia elettrica. Per i genitori si trasforma presto in un incubo: le famiglie di origine sono dispettose, madri e/o padri, ancora pieni di risentimento di quando i figli erano ragazzi, sono nonni ineccepibili ma ancora non hanno imparato ad essere genitori (e questo lo vedi chiaramente quando hai saltato il fosso finendo dalla stessa parte del fiume). Ritrovarsi nella camera da letto della propria infanzia a quarant’anni ha qualcosa di spaventosamente Ritorno al futuro da cui l’unico pensiero che lampeggia in testa è «scappare!».

 

 

Si pensano alternative possibili, bed and breakfast nei paraggi di casa, conoscenti che passano periodi all’estero. Oppure, quando arriva l’agognato ponte scolastico: partiamo, andiamo nella città d’arte dove non siamo mai stati tutti insieme. Ma no, sarebbe più bello scegliere una meta calda, lo choc termico che, al ritorno, diventa il colorito abbronzato d’inverno. Io voglio andare a Disney World. Te lo scordi, carina. In montagna zio Gegè potrebbe prestarci la casa in multiproprietà, se è libera. Lago. Mare. Campagna in agriturismo. Terme. Nulla mette d’accordo tutti. Restiamo in città e finisca qui, come non detto.

 

 

 

Si ridividono i nuclei, i grandi hanno ricevuto un invito appena fuori il raccordo, in quelle case cittadine che sembra di stare in America perché c’è la piscina e il campo da tennis e gli alberi e tutto. Ma a noi ci ha sempre fatto schifo il concetto di periferia èlitaria. E ancora ce lo fa ma ci hanno gentilmente proposto di stare una decina di giorni che è comodo per tutti che loro partono noi siamo in mezzo a una strada e loro non stanno sereni a lasciare la villa senza nessuno. I figli si rifiutano di fare tutta quella strada la mattina per andare a scuola. Vanno dai nonni, dicono che preferiscono. E i pendolari genitori imprecano nel traffico delle 7, le 8, le 9, le 10 di mattina: sembra che la via del mare sia bloccata vita natural durante. A pausa pranzo il passaggio inevitabile a controllare lo stato dei lavori. Ci siamo, dice l’architetto, è tutto a posto, domani potete tornare. Sul viso del padre riappare miracolosamente un incarnato roseo, manca ancora il coraggio di un sorriso: dici davvero? E si accascia per terra quasi svenuto. Al cellulare alla moglie, con voce rotta: domani possiamo tornare a casa.

 

 

 

La donna, più razionale: com’è venuta? Non lo so, non ho ancora guardato. Però ti amo. L’architetto si allontana lasciando al committente la sua privacy. Sa bene che, tempo un paio d’anni, il matrimonio avrà di nuovo necessità di una ristrutturazione e lui, sarà lì per quello. Affari di famiglia.

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