Ridurre il peso del debito pubblico per ridurre l’onere degli interessi sul bilancio dello Stato è fondamentale. Per permettere il sostegno della spesa sociale e riparare i guasti dell’incuria ventennale del territorio. Ma parlare di ripudio non ha molto senso. Si può ridurre senza ripudiarlo. Peraltro la proposta Tsipras parla di rinegoziazione, non di ripudio. Ma il vero paradosso è che la Grecia è in posizione migliore della nostra per raggiungere l’obbiettivo. Infatti, la proposta di Tsipras per la Grecia non è affatto estremistica, bensì realistica. Molto meno per noi. Per tre ragioni.

Primo, la Grecia è già fallita. Essendo già fallita nel 2012 ha potuto ridurre il debito con il cosiddetto haircut. O meglio, la troika l’ha imposto ai creditori. Perché questa è la conseguenza del default, di qualsiasi default: arriva la troika. Perché non esistono default controllati. Esiste il default, non pagando, o annunciando che alla prossima scadenza non si pagherà. E allora arriva la troika, taglia salari pubblici e privati e le pensioni. Taglio che si sommerebbe alla già grave crisi di domanda gettando l’Italia, e soprattutto i suoi ceti popolari, in un baratro. La Grecia può pensare ad un ulteriore rinegoziazione e a un ulteriore taglio del debito perché è già fallita. Noi no.

Secondo. Anche ammesso che si possa intavolare una trattativa, tagliare il debito significherebbe imporre gravi perdite alle banche italiane. Non che io pianga per loro. Ma la ventennale depressione giapponese è cominciata così, quando i bilanci delle banche giapponesi furono taglieggiati dallo sgonfiarsi di una bolla edilizia e le banche si trovarono gli attivi severamente ridotti; e quindi cominciarono a non concedere prestiti o a richiederne la restituzione. Dopodichè, vent’anni di depressione. Quindi, ammesso che non arrivi la troika, un taglio del debito avrebbe conseguenze depressive. La Grecia lo fece, nel 2012, quando le banche francesi e tedesche si erano già liberate di gran parte dei titoli greci acquistati tra il 2008 e il 2010. Ma le banche italiane non l’hanno ancora fatto. E se la voce si diffondesse, comincerebbero a vendere subito facendo impennare lo spread e appesentendo il bilancio con gli interessi più pesanti che il mercato richiederebbe.

Terzo. Qui siamo di fronte a un vero paradosso. Un sistema, Maastricht e euro, nato per impedire il finanziamento monetario dei deficit di bilancio pubblici, ha riprodotto la situazione precedente, di monetizzazione dei deficit via banche centrali. Infatti, il deficit del bilancio greco – dal 15% del 2009 a quasi lo zero attuale – è stato finanziato in gran parte dalla Bce, cioè dalla Banca centrale greca, che è il braccio operativo della Bce in Grecia (per circa un 30% del Pil greco).
Qui vediamo un inizio di convergenza con la situazione italiana. Infatti, in seguito al finanziamento triennale illimitato – dicembre 2011 e febbraio 2012 – le banche italiane hanno aumentato la loro scorta di titoli di stato italiani. A questo punto il progetto di quantitative easing della Bce chiude il cerchio. La Bce, cioè le banche centrali nazionali, ricomprano i titoli dalle banche, mettendole in grado sia di restituire il prestito del 2011-12, con cui acquistarono i titoli del debito nazionale, sia di aumentare la loro liquidità; che poi ci rifinanzino l’economia è tutto da vedere.

Ma intanto, di fatto, una percentuale rilevante dei debiti pubblici o sarebbe già, come nel caso greco, in possesso della banca centrale o vi entrerebbe, come previsto da un progetto di alleggerimento del debito pubblico lanciato dall’economista Wyplosz, il Padre (Politically Acceptable Restructuring Debt in Europe). A questo punto potrebbe scattare il terzo stadio. Il debito nelle mani delle banche centrali, portato ad almeno il 40% del Pil, potrebbe essere trasformato in prestito irredimibile al tasso base della Bce, lo 0,25%; ed essere tolto dal conteggio del debito rilevante per la percentuale debito/Pil, in quanto scomparirebbe sia la necessità del suo suo rinnovo, sia il pagamento di interessi per una somma pari a due o tre punti di Pil, immediatamente disponibili per il rilancio. La cosa susciterebbe una violenta opposizione tedesca, ma non quella dei creditori privati che non ne sarebbero danneggiati.
Un volta sfiammata con questa misura di emergenza la situazione dei paesi più in difficoltà (che porterebbe comunque per loro a una situazione ancora lontana dai parametri di Maatricht), si potrebbe convocare la Conferenza di cui parla Tsipras per sistemare per il lungo periodo la questione del debito in Europa. E in questa sede considerare ampiezza e modalità di una remissione del debito.
La situazione sta creando le condizioni per arrivarci. Ma passare alla realizzazione richiederebbe un’intelligenza, una volontà e una capacità politica di tutta la sinistra italiana ed europea di cui non si vedono molte tracce. Non ci resta che sperare nella capacità di iniziativa di Tsipras.