«Ristori» a fondo perduto per almeno 350 mila aziende, anche quelle sopra i 5 milioni di fatturato, e sussidi temporanei divisi per categoria per alcuni lavoratori e per i poverissimi. Per il governo la legge è sempre la stessa: nell’emergenza pandemica per le imprese vale il principio dell’incondizionatezza. Ai lavoratori del turismo, della ristorazione o dello spettacolo (al momento quelli colpiti dai lockdown parziali o totali decisi con l’ultimo «Dpcm») arriverà invece un sussidio (mille euro) condizionato nel tempo (un mese), considerato eccezionale («una tantum») e, nel caso, dei potenziali percettori del «reddito di emergenza» limitato ai paletti fiscali e patrimoniali così rigidi da avere fino ad oggi escluso la maggioranza di una platea potenziale calcolata in due milioni di persone.

QUESTO SCHEMA, inaugurato a marzo con il decreto «Cura Italia», sarà applicato anche nel prossimo decreto «ristori» che dovrebbe arrivare al Consiglio dei ministri di oggi. Coprirà i danni provocati dalle chiusure di bar, ristoranti, piscine, palestre, teatri o cinema decise dal «Dpcm». Varrà tra i 5-6 miliardi di euro che comprendono il rinnovo delle Casse integrazioni (1,6 miliardi), ristori a fondo perduto (1,5-2 miliardi), credito d’imposta per gli affitti, rinvio della rata Imu di dicembre.

CI SARÀ ANCHE la proroga delle misure di un Welfare che si vuole fare passare come emergenziale ma che in realtà sta diventando strutturale. E lo sarà sempre di più perché, com’è ormai chiaro, le nuove parziali chiusure non saranno le uniche, non saranno le ultime e, per di più, si ripeteranno nel tempo. Arriveremo a Natale, quando il governo intende «riaprire» per fare riprendere i consumi e abbassare la curva dei contagi. Dopo si potranno dare altre chiusure che richiederanno nuovi «ristori» e altri «bonus» a queste o altre categorie. Questo andamento a singhiozzo durerà fino a quando la pandemia del Covid non sarà stata risolta, una volta per tutte. Fino ad allora alcune categorie riceveranno, un mese sì e tre no ad esempio, un’«una tantum», mentre altre no. Molte persone che sopravvivono nel lavoro precario intermittente o informale resteranno escluse. Conclusa l’emergenza sarà per tutti peggio. Per la Caritas i poveri sono già 450 mila in più che si aggiungono a 4,6 milioni del 2019.

PER IL LAVORO AUTONOMO, uno dei soggetti della povertà, si annunciano novità. Il governo ha erogato a una parte di questa platea 600 euro al mese per tre mesi, poi più nulla. Sta circolando una proposta del Ministero del lavoro che riconoscerebbe un’indennità in caso di calo dei redditi alle partite Iva, iscritte alla gestione separata Inps o alle casse di previdenza private, da erogarsi in caso di riduzione del fatturato o di cessazione dell’attività. Sarebbe alimentata da una contribuzione basata su aliquote progressive in relazione al reddito professionale nel triennio precedente. Dallo schema sarebbero esclusi i professionisti con un reddito oltre i 35 mila euro. Questa, e altre proposte come quella maturata nell’ambitodel Cnel, coprirerebbe una parte superiore delle nuove povertà da lavoro. Si vedranno gli esiti. Resta però scoperta la povertà assoluta. Fino ad oggi la richiesta di un’estensione, anche senza condizioni, del cosiddetto «reddito di cittadinanza» non ha trovato alcun riscontro nel governo e nella maggioranza. L’annunciata riforma degli ammortizzatori sociali per il lavoro dipendente, e quella per il lavoro autonomo, sarebbero incomplete senza una copertura universalistica oltre l’occupazione e la disoccupazione.

UNA TRACCIA utile per creare un nuovo sistema delle tutele sociali nella crisi è quella fornita ieri dal ministro dell’Economia Gualtieri che però parlava delle aziende alle quali garantità il «ristoro». «Gli indennizzi» saranno erogati dall’Agenzia delle Entrate entro metà novembre. Chi ha già fatto domanda nei mesi scorsi per questi contributi li riceveranno «in automatico». Lo potrebbe fare l’Inps se un un reddito di base fosse stabile in Italia.