Tra qualche giorno è Ferragosto. Giornata di mezza estate, dedicata tradizionalmente alle gite al mare o ai monti e, soprattutto, a abbondanti pranzi al sacco o al ristorante. Di lontane ascendenze latine e di origine agraria (gli antichi romani celebravano le Feriae Augusti anche per festeggiare i raccolti e la conclusione di un primo ciclo dei lavori nei campi), nell’immaginario collettivo questa giornata rimane associata soprattutto al riposo e al consumo en plein air di piatti spesso tradizionali, preferibilmente in porzioni generose.

Se deciderete per il ristorante, quando avrete il menù in mano fate attenzione a non farvi incantare dalla descrizione dei piatti e degli ingredienti assai dettagliata e immaginifica che, sfruttando un meccanismo ben conosciuto dagli esperti di comunicazione, ne aumenta la risonanza con il nostro immaginario e ne favorisce quindi la scelta. Di che si tratta? Molto spesso il menù non elenca semplicemente le pietanze con il loro nome, nudo e crudo, ma fa diventare la denominazione di ogni vivanda una specie di lungo tema, a volte francamente prolisso.

Ad esempio, una modesta e poco invitante «Zucca in padella» diventa più attraente se proposta come «Spicchi di zucca spadellati all’aglio e zenzero». Lo stesso piatto viene ulteriormente nobilitato dall’indicazione di un articolo determinativo «Gli spicchi di zucca spadellati ecc.». Si sfiora infine l’irresistibile con l’aggiunta della località di provenienza di qualche ingrediente. In questo modo la semplice zucca spadellata diventa una esperienza gastronomica affascinante e, almeno in apparenza, esclusiva se viene descritta così: «Gli spicchi di zucca barucca di Chioggia spadellati all’aglio rosso di Sulmona e zenzero indiano». Stucchevole.

Tuttavia, anche le tecniche più malandrine e talvolta indisponenti della comunicazione commerciale possono essere utilizzate a fin di bene. Se ne sono accorti i ricercatori della Stanford University (trovate tutto su JAMA Intern Med. 2017;177(8): 1216-1218) che hanno deciso di provare a far aumentare il consumo di piatti a base di verdura serviti nella mensa universitaria utilizzando nella descrizione delle pietanze espressioni ironiche e aggettivi solitamente utilizzati per cibi meno salutari. Ebbene, una rappresentazione più accattivante ha incrementato del 25-35% le scelte di piatti a base di verdure. Evidentemente si mangia anche con il cervello.