Alle undici del mattino di ieri l’agenzia AdnKronos informa che nella notte tra venerdì e sabato si è sfiorato lo scontro tra le motovedette libiche e la marina militare italiana, intervenuta a protezione di nove pescherecci. Molte delle motovedette libiche sono vecchie navi militari italiane girate ai libici per improvvisare una guardia costiera in grado di fermare, in acque libiche, i migranti. Anche il personale a bordo di quelle navi è spesso addestrato dai militari italiani. La notizia dunque è rilevante, malgrado da sempre nel golfo della Sirte i pescherecci, non solo italiani, navighino con il rischio di essere aggrediti o sequestrati dai libici, che considerano quel tratto di mare acque nazionali e non internazionali.

Il resoconto dell’AdnKronos è assai dettagliato: «Due pattugliatori della marina militare italiana, che stavano controllando il tratto di mare, sono intervenuti prendendo sotto tutela i nove motopesca». « Se fossero stati raggiunti dalle motovedette libiche i pescherecci sarebbero stati probabilmente sequestrati e multati come accaduto altre volte. Al momento i pescherecci vengono scortati in acque sicure dalla marina militare». La conferma arriva dopo quarantacinque minuti, direttamente dal ministero della difesa. Che dall’account ufficiale twitta: «#4maggio Pescherecci italiani nel mirino delle motovedette libiche salvati dalla #Marina Militare». Nel tweet si aggiungono anche le felicitazioni della ministra Elisabetta Trenta, 5 Stelle: «Il ministro @Eli_Trenta: grazie al coraggio e alla professionalità dell’@ItalianNavy si è evitato il peggio». Un ministro del governo italiano, dunque, fa i complimenti alla marina militare per come ha fronteggiato i libici che sono equipaggiati e addestrati dallo stesso governo italiano e che, secondo un altro ministro, Salvini, controllano le coste di un «porto sicuro». Ma il tweet si rivela frettoloso.

Passano però due ore e mezza prima che la difesa ammetta di essersi basata solo sulle comuni fonti di stampa e non aver neanche fatto una telefonata alla marina. Sono le 14.32, serve un nuovo tweet: «Quanto riportato da un’agenzia di stampa circa un salvataggio della Marina di alcuni pescherecci italiani nei pressi delle acque libiche è falso. Abbiamo provveduto a rimuovere il tweet precedente». A notare la rimozione del tweet erano stati il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura e Mediterranea, la piattaforma umanitaria che ha messo in mare la nave di soccorso Mare Jonio.

Più che le opposizioni, a notare il passo falso della ministra Trenta è il collega di governo Salvini. Nel pomeriggio infatti «fonti del Viminale», cioè l’ufficio stampa del ministro, fanno uscire un commento sprezzante: «Anziché chiedere alla “sua” Marina, il ministro Trenta si basa sulle agenzie di stampa e poi è costretta a rettificare. Non è informata e non approfondisce: preferisce polemizzare col ministro Salvini e criticare servitori dello stato come il generale Riccò. Il ministro della Difesa faccia il ministro della Difesa. Le Forze Armate italiane meritano molto di più». L’accenno al generale Riccò si riferisce a un’altra polemica, del giorno prima. Si tratta del comandante dell’aviazione dell’esercito che il 25 aprile ha polemicamente abbandonato le celebrazioni dell’Anpi di Viterbo, la difesa aveva annunciato una «procedura di accertamento dei fatti» e Salvini non aveva gradito.

Ma è ancora Trenta a replicare, e di nuovo attraverso quel genere di comunicati che l’ufficio stampa attribuisce a «fonti della difesa» per attenuare solo un po’ lo scontro diretto tra i due colleghi di governo. «Non ci era mai capitato prima di vedere un ministero, l’istituzione, usata a fini elettorali. In questo caso per attaccare il ministro Trenta. Non c’è molto da commentare, basta avere uno spirito democratico per comprendere la gravità dell’episodio. Dispiace che il Viminale, il cui titolare è Matteo Salvini, piuttosto che occuparsi della sicurezza del paese, pensi a un tweet». E non è finita, perché la rissa da cortile tra anonimi si allarga al blog dei 5 Stelle. Dove si legge: «Gli staff del Viminale sono pagati con soldi pubblici per occuparsi della sicurezza dell’Italia, non per fare campagna elettorale. Oggi si è superata una linea rossa. La Trenta non si tocca. Pensate a lavorare!».