Una rara e devastante crisi interna scuote il potente Consiglio di Cooperazione del Golfo, le sei petromonarchie alleate di Washington che tanto peso hanno nelle vicende mediorientali (e non solo). L’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein ieri a sorpresa hanno annunciato il ritiro dei loro ambasciatori dal Qatar, denunciando le «ingerenze» di Doha negli affari interni dei paesi vicini. Una mossa clamorosa e paradossale. L’Arabia saudita che spende centinaia di milioni di dollari per comprare le armi necessarie alle milizie jihadiste siriane per rovesciare Bashar Assad, accusa di «ingerenza» negli affari interni di altri Paesi i cugini-rivali del Qatar. Tuttavia questa crisi di enormi proporzioni non è una ricaduta della guerra civile siriana (alla quale, comunque, il Qatar partecipa con soldi e pressioni sull’opposizione). E’ figlia piuttosto del colpo di stato militare in Egitto che lo scorso luglio ha deposto il presidente islamista Mohammed Morsi e disintegrato il potere dei Fratelli musulmani, appoggiati proprio dal Qatar. E’ anche l’effetto della forte ripresa nella regione dell’influenza dell’Arabia saudita che aveva mal digerito l’intraprendenza, finanziaria e diplomatica, del piccolo (ma ricco di gas) Qatar, il “nano con il pugno di un gigante” sull’onda delle rivolte arabe.

La decisione delle tre petromonarchie fa seguito a una riunione, a dir poco tempestosa, che si era svolta martedì sera a Riyadh dei ministri degli esteri del Ccg. Il Qatar in quell’occasione ha continuano a contestare la legittimità del golpe militare in Egitto, in controtendenza con le altre monarchie del Golfo. In un clima da incontro di pugilato, Doha si è schierata di nuovo con i Fratelli Musulmani e con Mohammed Morsi, mentre Arabia Saudita, Bahrain ed Emirati hanno assicurato il loro sostegno alle autorità golpiste egiziane. Riyadh considera nemici i Fratelli Musulmani che contestano la legittimità del ruolo di “Custode di Mecca e Medina” che si è autoassegnata la dinastia Saud. Per questo l’Arabia saudita si è precipitata a garantire la solidità finanziaria dell’Egitto subito dopo il colpo di stato del 3 luglio. Non sorprende che ieri il Cairo – che sta processando giornalisti della televisione qatariota al Jazeera – abbia rincarato la dose quando ha appreso del ritiro degli ambasciatori. «Il Qatar è contro la posizione della maggioranza dei Paesi arabi», ha commentato lapidario il ministero degli esteri egiziano.

Per i Fratelli Musulmani non va molto meglio negli Emirati Arabi Uniti dove sono perseguitati e puniti per le loro attività politiche. L’Emiro del Qatar al Thani lo scorso novembre, nel corso di un mini vertice del Ccg con l’emiro del Kuwait e il re saudita, aveva promesso di limitare il suo appoggio alla Fratellanza. Promessa che, dicono le altre petromonarchie, non ha mantenuto, tanto che il mese scorso gli Emirati hanno protestato con forza per i sermoni infuocati pronunciati in diretta da Doha, davanti alle telecamere di al Jazeera, dallo sceicco Yusef Qaradawi, un famoso predicatore e ideologo dei Fratelli Musulmani.

Sullo sfondo c’è anche l’atteggiamento morbido avuto dal Qatar nei confronti dell’Oman che nei mesi scorsi ha impedito la riorganizzazione del Ccg, in termini militari ed economici, sotto il “comando” dell’Arabia saudita intenzionata a creare un solido “blocco sunnita” in funzione anti-Iran (Muscat mantiene buone relazioni con Tehran). Riyadh avrebbe voluto punire l’Oman ma Doha si oppose. I Saud hanno risposto con il pugno di ferro, prima annullando l’influenza che per due anni il Qatar ha avuto sull’opposisione siriana e poi formando il “Fronte islamico” in alternativa all’Esercito libero siriano (Els) sponsorizzato da Doha. Ieri è calata anche la scure diplomatica. Il Qatar smorza i toni, lancia segnali concilianti, ma il ricco “nano con il pugno di un gigante” sa di essere nell’angolo.