In un discorso a Pescara durante una manifestazione del Movimento 5 Stelle domenica scorsa il ministro del Lavoro Luigi Di Maio si è detto contrario alla «liberalizzazione dei voucher». Il vicepremier sostiene che l’estensione dei buoni-lavoro, contenuta nel decreto «dignità» che sarà approvato oggi dal Senato, è stata fatta «con criterio». I nuovi voucher soddisferanno i «picchi di produzione» in agricoltura e strutture alberghiere: «massimo un tot di dipendenti, massimo di ore, per 2-3 giorni».

Per rispondere a questa esigenza non è bastata la legge in vigore che prevede l’uso dei voucher. È stata offerta una sponda alle imprese agricole e alla Lega che ha sostenuto la norma. Di Maio ha cercato anche di ragionare come i sindacati, difendendo il contratto del lavoro agricolo: «Se hai bisogno di lavoro per 2-3 settimane ci sono altri tipi di contratti – ha detto – Non ci sono solo i voucher, soprattutto se il voucher te lo danno la mattina e te lo metti in tasca, poi ti pagano in nero e tu glielo ridai quando vai via dal lavoro. Metteremo al lavoro l’ispettorato del lavoro». Le magre finanze stanziate per il decreto però non contengono risorse per l’ispettorato del lavoro. Nelle condizioni attuali riceverà un sovrappiù di compiti che non potrà soddisfare.

Il ragionamento fatto da Di Maio è teso a ricomporre le mediazioni perdute, ma non ha convinto. Rispetto ai voucher non si darà una scelta tra un lavoro che dura «2-3 giorni» e un altro che dura «2-3 settimane». Cgil, Cisl e Uil ritengono che l’allungamento da tre a dieci giorni sia il salvacondotto al lavoro nero. Le quattro ore di lavoro minimo, che prima si svolgevano nei tre giorni previsti, ora saranno fatte in dieci. Quando l’ispettorato del lavoro arriverà nei campi, basterà esibire il voucher sostenendo che il lavoratore è pagato con quel «buono» negli ultimi dieci giorni. E il resto? In nero.

Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil ritengono che l’incremento da 2.500 a 5 mila euro dell’importo che l’azienda può pagare al singolo prestatore in voucher equivalga alla retribuzione di 70 giornate di lavoro dipendente. Questo porta alla destrutturazione del contratto del lavoro agricolo che contiene già forme ultra-brevi. Prevedibile anche la negazione del sussidio di disoccupazione, parte non trascurabile del reddito annuo per i lavoratori agricoli, ottenibile solo quando rientrano in un lavoro subordinato.

A settembre i sindacati dei lavoratori agricoli hanno annunciato manifestazioni, mentre nell’intervista a il manifesto di sabato scorso la segretaria della Cgil Susanna Camusso non ha escluso l’ipotesi di un referendum abrogativo. L’insieme di questi elementi attesta una rottura dell’equilibrio neo-corporativo perseguito dal governo nel suo decreto «per la dignità dei lavoratori e delle imprese». Le rappresentanze di queste ultime si sono rese protagoniste di una reazione esagitata contro la modesta stretta sui contratti basata su un verosimile, eventuale, rischio statistico di non rinnovo. Sui voucher, invece, i sindacati denunciano un rischio più immediato, già a partire dalla vendemmia.

Il limite del governo sta nel non volere ribaltare il Jobs Act, diversamente da quanto annunciato dai Cinque Stelle in campagna elettorale, e di volere fare comunque una lotta «contro la precarietà». La necessità di mediare con la Lega potrebbe invece alimentare un dumping contrattuale in un decreto che per Di Maio metterebbe «al centro le persone e non il dio-mercato», questo ha detto ieri in Senato. La volontà di dare ragione a tutti, l’ottica gradualistica e compatibilista a cui costringono i vincoli europei e quelli della coalizione gialloverde, evidenzierà l’inefficacia delle decisioni rispetto ai principi enunciati e produrrà nuove e concrete disuguaglianze.

Il decreto «dignità» è arrivato al voto al Senato senza avere terminato il vaglio degli emendamenti. La maggioranza sostiene che è a causa dell’ostruzionismo delle opposizioni. Queste ultime rispondono che Di Maio ha bisogno di un provvedimento prima della pausa estiva per riequilibrare la sovraesposizione mediatica dell’altro vicepremier che rilascia interviste sui destini del mondo dal lettino di una spiaggia.