La sicurezza e la salute dei cittadini. E’ questo il mio primo pensiero quando provo a immaginare come spendere le risorse europee del Recovery fund. Sicurezza per esempio dalla fragilità del territorio italiano: e quindi un Piano contro il dissesto idrogeologico. Salute affinché si possa vivere e lavorare in contesti sani e liberi dall’inquinamento. Di sicuro so come non andrebbero spesi quei fondi – che siano in forma di prestiti o di sostegni poco conta ai fini del ragionamento – di certo non andrebbero impiegati per il Ponte sullo stretto di Messina, proposta avanzata ieri da 21 parlamentari del Pd; proprio ieri mentre Palermo affogava sotto una bomba d’acqua senza precedenti.

L’emergenza sanitaria da coronavirus ha innescato la peggior crisi economica della storia della Repubblica. Anche l’Europa, messa a dura prova, è pronta a rispondere con misure inedite. Alcune già attive: la sospensione del Patto di stabilità. Altre prossime a venire, come i fondi del Next generation Ue. Il Mes, che vedremo se chiedere o meno, la Cassa integrazione europea Sure.

Incredibilmente a fronte di una situazione drammatica, per la società e l’economia, il Paese si trova in un momento storico unico. Non ci saranno altre occasioni come questa. Dobbiamo coglierla per fare dell’Italia il punto di unione tra le politiche di crescita e quelle che aiutano il Pianeta nella lotta ai cambiamenti climatici.
Del resto credo che, se la discussione resta aperta per il Mes non dovrebbe invece esserlo per il resto delle risorse: niente condizionalità, a parte quelle ambientali perché aiuteranno le persone a vivere meglio.

Una delle priorità dovrà essere l’economia ‘verde’. Abbandonare il modello lineare di economia, che produce consumando risorse. Affidare il futuro della crescita economica a un nuovo paradigma: il modello circolare, che non spreca risorse naturali e rinnova quelle che usa.

Decarbonizzazione dell’economia e transizione tecnologica, passano dalla nuova filiera industriale che grazie allo sfruttamento delle potenzialità dei rifiuti riesce per esempio a creare biogas dalla differenziata dell’organico oppure a riciclare l’acqua per l’agricoltura dopo la depurazione. Investire sempre di più sulle rinnovabili, e sulla produzione di energia diffusa.

Sicuramente non dovremo fare l’errore di proporre come ‘nuove’ vecchie ricette, tipo gli incentivi al diesel, per quanto di ultima definizione. Oppure continuare a dare sussidi, anche in via indiretta, a tutto quello che è ambientalmente dannoso. Invece per la mobilità bisognerà riservare attenzione alla qualità dell’aria e al bisogno di spostamento delle persone.

In questo contesto al centro dell’attenzione ci sono le città, perché è qui che vivrà oltre l’80% della popolazione mondiale entro il 2050. E’ necessario renderle ecologiche, umane e inclusive. Dalle scuole agli ospedali, “tutto dovrà essere a 15 minuti di distanza”, come si sta già facendo a Parigi; garantendo servizi adeguati, attraverso nuova capacità di pianificazione, rigenerazione urbana dei quartieri, corretta gestione dei rifiuti, spazi verdi accessibili. Bisogna ridurre le diversità sociali, cominciando dal divario territoriale. Combattere la povertà e migliorare da subito i contesti di degrado, dove trovano terreno fecondo la criminalità e l’abbandono degli studi. Essere in grado, attraverso l’educazione e la ‘sana’ convivenza, di diffondere la solidarietà: base per l’accoglienza dei migranti, per i quali si devono creare i presupposti per una partecipazione attiva alla vita civile.

È una straordinaria occasione da cogliere per rilanciare economia e lavoro in chiave green. Possiamo fare ora, che siamo in ginocchio, proprio ora, quello che per anni abbiamo soltanto immaginato: un Green deal fatto di investimenti e tutela, adeguamento tecnologico e innovazione industriale, transizione energetica e decarbonizzazione dell’economia. Le promesse vanno mantenute. Ecco perché le risorse europee dovrebbero essere senza condizionalità, a parte quelle ambientali.