Gli Houthi finiscono nel mirino dell’Onu: il Consiglio di Sicurezza è stato chiamato a votare la risoluzione presentata dalla Giordania e che chiede – oltre all’inserimento in lista nera del figlio dell’ex presidente Saleh e del leader sciita Abdulmalik al-Houthi – l’embargo militare contro i ribelli. Secondo l’ambasciatore saudita alle Nazioni Unite, Abdallah al-Mouallimi, la bozza potrebbe essere discussa già all’inizio della prossima settimana.

Una questione scottante: la Russia, che per ora non commenta, potrebbe opporsi. Mosca ha già preparato la sua contro-risoluzione che domanda lo stop dei raid della coalizione per ragioni umanitarie e potrebbe pretendere che l’embargo sia imposto anche al governo del presidente Hadi, le cui forze stanno combattendo sul terreno la ribellione sciita, con il sostegno militare dell’Arabia Saudita. Un chiaro messaggio agli Stati Uniti che lo scorso martedì hanno annunciato l’invio immediato di armi alla coalizione guidata da Riyadh e dal Cairo.

La bozza di risoluzione chiede ai paesi vicini di ispezionare tutti i carichi diretti verso Sana’a e impone agli Houthi di cessare i combattimenti e ritirarsi dalle aree occupate da settembre. Improbabile che il movimento accetti tale imposizione, viste anche le difficoltà dell’Arabia Saudita che dopo due settimane di bombardamenti non è ancora riuscita a frenare l’avanzata Houthi. Dietro le quinte resta l’Iran, convitato di pietra del conflitto in corso, accusato da Occidente e Golfo di aver armato e organizzato il movimento sciita yemenita. La prova, secondo la coalizione, sarebbe giunta ieri: milizie locali di Aden, che combattono al fianco del governo Hadi, hanno detto di aver catturato due ufficiali militari iraniani, membri delle Guardie Rivoluzionarie.

Si tratterebbe, dicono fonti locali, di un colonnello e un capitano, fatti prigionieri durante scontri in due diversi quartieri della città. «Le indagini iniziali hanno rivelato che si tratta di membri dell’unità Quds [élite dei pasdaran, ndr] e che lavorano come consiglieri dei miliziani Houthi – ha detto una fonte alla Reuters – Verranno consegnati alla coalizione». Se la notizia fosse confermata, sarebbe l’ulteriore dimostrazione dell’importanza strategica dello Yemen nello scacchiere mediorientale: un paese piccolo e povero, dipendente dagli aiuti esterni e quindi in balia delle interferenze dei grandi attori regionali, il cui controllo garantisce quello sulle vie di transito del greggio del Golfo verso Suez e l’Europa.

Tanto centrale da spingere il piede Usa sull’acceleratore: dopo aver annunciato l’invio di aiuti militari, secondo quanto riportato anonimamente da funzionari Usa, Washington sta espandendo la collaborazione con l’Arabia Saudita e la coalizione mettendo a disposizione maggiori informazioni di intelligence in chiave anti-Houthi. In particolare i servizi si occuperanno di fornire informazioni su potenziali target da colpire, evitando quelli civili. Che non mancano: dopo aver bombardato un campo profughi e una scuola – oltre alle strade di Sana’a e Aden – Riyadh ieri ha centrato con l’aviazione due mercati cittadini a Sa’ada, nord del paese, uccidendo almeno due civili.

Sul campo, intanto, proseguono gli scontri che ogni giorno di più interessano ogni provincia del paese: ieri si è registrato l’ennesimo massacro, a seguito di scontri ad Aden che hanno ucciso almeno 25 persone (tra loro, oltre a miliziani, anche un’anziana, un uomo e un bambino) facendo salire il bilancio totale a 650 vittime e oltre 2mila feriti. «Una situazione preoccupante se non catastrofica», l’ha definita Van Der Klaauw, coordinatore umanitario dell’Onu in Yemen. Nel paese mancano acqua potabile e energia elettrica. Solo ieri l’Unicef è riuscita a far entrare nella capitale Sana’a aiuti umanitari, che seguono ad un cargo atterrato due giorni fa, ma troppo esigui per far fronte all’emergenza umanitaria.