Una battaglia per ristabilire una priorità «nazionale» nelle telecomunicazioni; una «larga intesa» tra il governo uscente targato Pd e i vincitori del 4 marzo: Cinque stelle e Lega; una risposta all’aggressività del capitalista francese Vincent Bolloré, già respinto da Berlusconi che ha chiuso l’accordo con Sky per Mediaset Premium ambìta da Vivendi. E nel retroscena ci sono due disfide.

LA PRIMA è quella geo-economica globale sul controllo delle infrastrutture della telefonia mobile, il «5G» o banda ultra-larga capace di trasportare 20 Gigabit al secondo e scaricare in un nanosecondo sui cellulari dati e informazioni pesanti, fondamentali per connettere anche le macchine con le macchine. Una partita che rientra nello scontro globale a suon di dazi tra Cina e Stati Uniti, tra i megapoli Huawei e gli operatori Usa At&T, T-Mobile o Verizon. In questa partita l’Italia occupa il posto del nano in giardino. Ma, in una scala tra uno a cento, anche da noi si ripropone la stessa logica presente in Usa, Cina o Francia: quella di uno Stato che recupera una funzione di controllo dopo decenni di privatizzazioni e evoca una «partecipazione strategica» in una società di mercato. In un clima neo-protezionista, questo diventa la difesa della «sovranità economica» ottenuta attraverso la fusione tra Telecom e Open Fiber, società dell’Enel e della Cdp, auspicata dal Movimento Cinque Stelle. Lo stesso governo Gentiloni ha ipotizzato un campione nazionale della banda ultra-larga sul modello di Terna. Il progetto è anche quello di Elliott, un fondo americano avversario di Vivendi in Telecom, ma subordinato ai francesi che controllano l’ex monopolista dei telefoni con il 24% delle azioni.

LA SECONDA è quella della produzione di contenuti nel mondo delle piattaforme digitali. In uno scenario dominato dai colossi Netflix, Amazon, Bolloré con la sua Vivendi intende favorire una convergenza tra telecomunicazioni e media e arrivare a costituire un «polo europeo» capace addirittura di sfidare gli «unicorni». Una suggestione, da molti definita velleitaria, che spinge Emmanuel Macron all’Eliseo a finanziare con 1,5 miliardi di euro progetti anche sullo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, mentre qualcuno auspica che la Germania, con la sua proposta di «Industria 4.0» si allei con il cugino francese. Nulla di più, al momento, oltre il volontarismo dell’Eliseo.

QUESTO IMPONENTE RISIKO politico e capitalistico sta dietro l’ingresso della Cassa Depositi e Prestiti in Telecom decisa ieri dal cda della società di via Goito detenuta dal governo con il ministero dell’Economia con l’82,77% delle azioni e presieduta da Claudio Costamagna. L’ingresso del braccio finanziario del Tesoro nel capitale di Telecom (con il 5%) non prevede l’acquisto diretto di azioni sul mercato, ma avverrà a blocchi, per un impegno massimo che ai valori attuali potrebbe valere intorno ai 550 milioni euro. La borsa ha risposto: ieri Tim ha chiuso la seduta con +5,22% a quota 0,7978 euro per azione. Cdp avrà tempo fino al 13 aprile per procurarsi le azioni di Tim se vorrà votare sulla revoca dei consiglieri di Vivendi nell’assemblea prevista 24 aprile. La tappa successiva è fissata per il 4 maggio quando ci sarà un’assemblea per il rinnovo del Cda di Telecom Italia.

L’INTERVENTO «larghe intese» di Cdp ha cambiato la situazione. Da un lato sembra riscuotere il consenso dell’amministratore delegato dell’azienda, il manager israeliano Amos Genish, secondo il quale è un’«imperativo» che Tim «controlli la sua rete – ha detto – Ovunque dove gli operatori non hanno seguito questa strategia (negli Usa o in Australia) ciò ha creato rischi inutili per una resa molto debole o nulla». L’interposizione delle «larghe intese» potrebbe cambiare le mire dell’americana Elliott che possiede il 5,74% delle azioni Tim e ambisce a sbalzare dal comando Vivendi di Bolloré. Elliot sarebbe però titolare di un pacchetto di poco inferiore al 10%. Cdp e Elliot potrebbero trovare una convergenza in Tim. Per il momento entrambi escludono che il piano sia concertato. Nel frattempo Genish si è schierato con il suo azionista di riferimento: «Vivendi ha una visione di lungo termine- ha detto – Tutto il contrario di un hedge fund come Elliott».

VIVENDI, intanto, fa buon viso a cattivo gioco (presunto) e rilancia. La mossa di Cdp non è considerata «ostile» e «ogni azionista è benvenuto se «lavora in maniera costruttiva». Ieri Arnaud de Puyfontaine, ceo di Vivendi, ha annunciato la propria lista di candidati per il rinnovo del cda di Telecom. La lista di dieci candidati sarà guidata da Amos Genish che «ha il pieno supporto di Vivendi». De Puyfontaine, secondo componente della lista, è stato proposto per il ruolo di presidente non esecutivo. Franco Bernabè sarà proposto per il ruolo di vice presidente con delega sulla sicurezza. Vivendi ha giocato una mossa in anticipo per scartare dall’ipotizzata tenaglia Cdp-Elliot. La partita è aperta.

LO SCORPORO della rete fissa da Telecom Italia fu evocato per la prima volta nel 2006 dall’allora consigliere economico del premier Romano Prodi, Angelo Rovati. L’ipotesi produsse una conflagrazione ai massimi livelli perché lo studio fu trasmesso all’insaputa di Prodi e portò alle dimissioni del presidente Marco Tronchetti Provera e a quelle di Rovati. Oggi l’ipotesi si ripresenta con il colosso Cdp, mentre la maggioranza è in mano ai francesi di Vivendi. Lo scorporo della rete attuale potrebbe essere concretizzare non prima di 18 mesi. Al termine potrebbe essere richiesto ad Enel di cedere la sua quota in Open Fiber a Cdp o a un altro soggetto per realizzare una società unica della rete a controllo pubblico con una quota