Pubblicato da Mimesis, ritorna disponibile nelle librerie il volume monografico di Andrea Fontana e Enrico Azzano sul cinema di Satoshi Kon, animatore nipponico – e non solo – che ha creato opere a loro modo indimenticabili come Paranoid Agent (2004) e Paprika (2006). Per chi conosce il lavoro editoriale precedente, questa nuova operazione offre integrazioni che arricchiscono il discorso critico, al cui centro rimane il racconto dell’artista come animatore fra i pochi ad aver saputo immaginare la nostra contemporaneità schizoide. A questo, sembra aggiungersi una specie di sottotesto: considerare l’artista giapponese anche al di là del medium, e cioè come un vero e proprio autore di cinema.

Il volume presenta una struttura che è più o meno ricorrente in molte monografie dedicate a registi. C’è una parte introduttiva, in cui il pezzo forte non può che essere la lettera di addio dell’artista nipponico, «Sayonara» (questa versione fu pubblicata da Animeclick.it, ma si tratta della traduzione della versione inglese di Makiko Itoh, uscita sul suo blog). Segue poi una prima parte, dove il discorso tocca e copre tutti i film del nostro, compreso l’ultimo, non realizzato progetto, Dreaming Machine (qui il contributo è di Giampiero Raganelli).

La seconda parte del libro è invece focalizzata sugli approfondimenti. Si trovano pagine che tratteggiano bene il profilo complesso dell’autore, tra filiazioni autoriali, approfondimenti musicali e tanto altro. In particolar modo, vale la pena ricordare alcune voci rispetto ad altre nella misura in cui permettono di percepire quanto il campo d’azione dell’animatore sia stato ampio.

Al riguardo, c’è il saggio di Mario A. Rumor, perché ricorda al lettore che Satoshi Kon è stato anche gran fumettista. Ma si dovrebbe citare pure l’intervento di Massimo Soumaré, che ci presenta quello che potrebbe essere definito come un possibile milieu culturale di riferimenti (persone e cose) collegabili al lavoro dell’artista. Nello specifico, è molto interessante l’insistenza di Soumaré sulla fantascienza letteraria – giapponese in primis, ma anche straniera – come risorsa influente nelle storie e nella poetica di Kon. Per quanto riguarda il primo caso, il saggista menziona Yasutaka Tsutsui; per il secondo, invece, Philip K. Dick.

Infine, c’è una terza sezione, dal titolo “Testimonianze”, in cui si trovano le riflessioni di Francesco Filippi e Nicola Nikolaos Finizio (animatori) e di Federico Conforti (montatore), invitati dai curatori del libro a parlare dell’influenza di Kon nel loro lavoro. A fine lettura, se si conosce poco o nulla del nostro, un libro come questo di Fontana e Azzano risulta sicuramente utile come valida introduzione al cinema dell’autore. Se, invece, si è già un po’ abituati a quell’immaginario (è impossibile abituarsi del tutto a certe fantasmagorie), il libro offre la possibilità di colmare, eventualmente, delle lacune. E magari ipotizzare futuri approfondimenti, riconsiderando i film del nostro anche attraverso una prospettiva specificatamente più nipponica e non solo, diciamo, eurocentrica (la teoria dell’autore). Per esempio, soffermandosi di più su come sia stato centrale lo studio Madhouse nella prassi creativa dell’animatore, come osserva Luca Della Casa nel suo bel pezzo dedicato all’argomento. Oppure, sviluppando ulteriormente la parte – molto promettente – di Federico Antonio Russo, dedicata al lavoro dell’animatore giapponese sullo storyboard.

È chiaro, si tratta solo di mere suggestioni, in fondo già dentro al volume in questione, ma che sarebbe un peccato non vedere sviluppate in un’altra riedizione editoriale, dal momento che integrazioni del genere non andrebbero in conflitto con il disegno generale del progetto.
E inoltre, aiuterebbero a contestualizzare il discorso complessivo, conferendo al ragionamento critico una dimensione «emica», aderente alla storia del soggetto in esame.