Nel campo sportivo straripante di volti e bandiere – oltre 100.000 persone -, ogni passo dell’omelia in spagnolo viene tradotta nelle lingue indigene del Chiapas. E’ stato questo il messaggio più forte diffuso finora da papa Bergoglio nel suo viaggio in Messico, che si conclude mercoledì. Il papa ha usato il racconto biblico e le parole dell’Esodo per accogliere «il grido, l’angoscia, l’afflizione» di quanti gli hanno chiesto parole forti contro i mali che affliggono la comunità indigena del Chiapas: lo stato con meno cattolici in un paese che conta la comunità cattolica più numerosa al mondo dopo il Brasile; lo stato in cui è presente la diocesi di San Cristobal de las Casas, maggior città dello stato. Lì, spesso le messe sono state celebrate in lingua indigena dal vescovo Samuel Ruiz, vicino agli zapatisti dell’Ezln, scomparso nel 2011.

Un vescovo che ha sfidato varie volte le gerarchie ecclesiastiche messicane in maggioranza conservatrici. Ruiz si è ritirato dalla diocesi nel 2000, ma la sua impronta continua a essere forte e presente. Nel 1974, la diocesi di Ruiz organizzò il primo congresso indigeno che dette un forte impulso al processo di organizzazione politica e sociale di molte comunità in resistenza.
Non pochi leader delle comunità presenti allora sosterranno la formazione dell’Esercito di liberazione nazionale (Ezln), che organizzò nel 1994, la prima rivolta contro il neoliberismo nel Messico contadino strozzato dal Nafta. Allora, il Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de las Casas – fondato nel 1998 nella diocesi – denunciò esecuzioni estragiudiziarie commesse dai militari contro i leader della rivolta zapatista, guidata dal subcomandante Marcos. E, da allora, ha continuato su quella via: documentando, per esempio, gli attacchi dei paramilitari alle comunità compiuti nel 1996.

Negli stati del Chiapas, di Oaxaca e Guerrero i poveri sono 3,6 milioni. Le organizzazioni popolari hanno chiesto al papa di esprimersi in merito a sette più gravi conflitti che affliggono il Chiapas: il conflitto armato interno che fomenta quelli fra le comunità; le espulsioni forzate, i crimini di lesa umanità, le aggressioni e gli omicidi come quello del maestro zapatista Galeano, a maggio del 2014.
Negli ultimi mesi sono aumentati gli attacchi ai difensori per i diritti umani, sempre in totale impunità. Le più colpite dalle violenze sono le donne. Il Chiapas ha il numero di popolazione infantile più alto del paese: 4 ogni 10 persone hanno meno di 18 anni, 8 ogni 10 vivono in povertà e 4 ogni 10 bambini da zero a 4 anni sono malnutriti.

Un altro tema su cui si è chiesto l’intervento del papa è quello che riguarda la terra e il territorio, minacciato dalla recente riforma energetica di Nieto che dichiara di pubblica utilità le industrie estrattiviste. «Non sono come uno dei re Magi che reca in dono la soluzione per tutti i mali», ha detto Bergoglio nei giorni scorsi. Ma, per la chiesa di base e per le organizzazioni indigene, un suo messaggio assumerebbe valenza politica non solo simbolica nei confronti del governo e delle autorità locali.

Bergoglio ha ripreso alcuni temi dell’Enciclica Laudato si’, che contiene denunce profonde al profitto e alle multinazionali. E ha sottolineato il messaggio già espresso contro l’ipocrisia e la chiesa opulenta, a cui ha chiesto di «non aver paura della verità».

In Messico, gli indigeni costituiscono il 10% della pololazione, sono oltre 11 milioni. A loro, Bergoglio si è rivolto riprendendo il discorso che ha fatto in Bolivia, quando ha chiesto perdono per i crimini della colonizzazione. Ha accusato quanti, «ammaliati dal potere, dal denaro e dalle leggi del mercato», molte volte, «in modo sistematico e strutturale» li hanno spogliati delle terre «o hanno realizzato opere che le hanno inquinate». Il mondo «oggi spogliato dalla cultura dello scarto – ha detto – ha bisogno di voi».