La cronaca dei naufragi di chi tenta di attraversare il Mediterraneo per chiedere asilo nei paesi europei ci ha abituati all’idea che, una volta raggiunta l’Italia, tutte le difficoltà svaniscano. Ma non è così. Per dimostrarlo basterebbe visitare anche solo uno dei Cas (centri di accoglienza straordinaria) o un qualunque Cara (centro di accoglienza richiedenti asilo e rifugiati) per rendersi conto delle condizioni difficili in cui sono costrette a vivere centinaia di persone in attesa di completare l’iter per la richiesta di asilo. Tralasciando però questo aspetto dell’accoglienza, ci sono altri fatti che stanno accadendo in alcune città italiane che ben rappresentano il percorso a ostacoli (a volte insuperabili) che caratterizza la vita dei profughi in Italia. Uno di questi riguarda Roma, dove da qualche mese i titolari di permessi di soggiorno in scadenza stanno riscontrando difficoltà nel rinnovo se si trovano sprovvisti del certificato di residenza. Per completare quella pratica, infatti, è necessario comunicare agli uffici della questura un indirizzo a cui far pervenire le comunicazioni. Un passaggio che, fino a ora, quando non poteva essere compiuto autonomamente, veniva risolto grazie ad alcune organizzazioni autorizzate che correvano in soccorso rilasciando un certificato di residenza.
Per una disposizione della Questura di Roma quelle residenze, considerate «virtuali», non sono più valide per il rinnovo del permesso di soggiorno, ai sensi dell’art. 10bis della legge 07/08/1990 n. 241, come riportato nelle lettere rilasciate dall’Ufficio immigrazione in risposta alla richiesta di rinnovo. La motivazione è legata al fatto che quell’indirizzo non corrisponderebbe alla dimora abituale del richiedente che dunque risulterebbe irreperibile qualora lo si cercasse. Le nuove disposizioni prevedono che l’indirizzo fornito nella richiesta di rinnovo corrisponda a un domicilio effettivo, ma in molti casi, anche se il titolare del permesso di soggiorno ha un alloggio, difficilmente è in grado di dimostrarlo con la documentazione necessaria (contratto di affitto o cessione di fabbricato o con la dichiarazione di ospitalità).
L’effetto di tutto ciò è che diventeranno presto irregolari migliaia di persone e tra queste anche molti titolari dello status di rifugiati, in possesso di un titolo permanente e la cui condizione è paragonabile a quella dei cittadini italiani. Ma l’aspetto che più preoccupa è che si creerà un vero e proprio commercio illegale di indirizzi di residenza falsi, con conseguente sfruttamento economico di chi deve rinnovare il titolo di soggiorno.
Arrivati a questo punto il ministero dell’Interno dovrebbe chiarire agli Uffici immigrazione delle questure italiane come sia da intendere il significato di «dimora abituale». Basterebbe una nota per affrontare e sanare una situazione che rischia di esplodere. È giunta infatti l’ora di correre ai ripari se non si vuole far precipitare migliaia di persone nella irregolarità.