Il lavoro sul disegno di legge costituzionale del governo comincerà la prossima settimana. Ieri la prima commissione del senato non ha potuto metterlo all’ordine del giorno della seduta di giovedì perché il testo è arrivato ufficialmente a palazzo Madama solo ieri sera. Il presidente della Repubblica lo ha firmato ieri mattina, appena arrivata sul Quirinale la relazione tecnica che ha impegnato gli uffici della ministra Boschi per otto lunghi giorni. Tempo prezioso, perché Renzi vuole andare alle elezioni europee avendo incassato un primo sì sulla riforma ma a questo punto è difficile che possa farcela. La scadenza è il 25 maggio, in mezzo ci sono le vacanze pasquali e il ponte del 25 aprile, oltre agli impegni per la campagna elettorale. Decisivo sarà il ritmo con il quale si metterà al lavoro la commissione presieduta dalla senatrice Anna Finocchiaro, antica avversaria nel Pd del presidente del Consiglio che però ieri ha fatto due importanti aperture al segretario – in linea col recuperato feeling tra i dalemiani e il segretario. Nell’assemblea dei senatori democratici, Finocchiaro ha detto che il lavoro del senato deve «partire dai paletti fissati dal governo» e poi ha detto sì a un senato non elettivo, punto d’attacco fondamentale di una minoranza di senatori Pd critici con il testo del governo.

È il gruppo dei venti firmatati della proposta del senatore Vannino Chiti, che differisce da quella del governo principalmente perché conserva l’elettività dei componenti della camera alta. Il gruppo è stato bollato ieri da Renzi – nel corso della conferenza stampa sul Def – come «in cerca di visibilità». Il presidente dei senatori democratici Zanda e poi molti altri esponenti renziani hanno chiesto e in qualche caso intimato ai venti di ritirare la proposta. Così come ha diligentemente fatto il senatore Tonini che però aveva firmato un testo in linea con lo schema del governo. Per abbreviare i tempi, infatti, la commissione dovrebbe rapidamente adottare il disegno di legge del governo come testo base (come accade di regola quando c’è un testo del governo, ma qui parliamo di riforme costituzionali). Resta il fatto che proposte alternative sono state depositate da altri gruppi: montiani, alfaniani e berlusconiani.

Il governo si gioca molto sul rispetto dei tempi promessi, tanto che tra i senatori Pd è tutto un farsi carico del problema e assicurare collaborazione. Anche Chiti garantisce: «Non vogliamo creare ostacoli né ci faremo strumentalizzare». Ma non ritira il testo, né lo ritirerebbero i senatori vicini a Civati come Casson e Tocci. Bisognerà prendersi il tempo per discutere e Casson non esclude la richiesta, classica in questi casi, di procedere a una serie di audizioni tra i costituzionalisti (convocabili parecchi «professoroni»). Renzi freme: «È una proposta senza possibilità». E ha ragione, malgrado la possibile confluenza dei grillini ed ex grillini, oltre che dei senatori di Sel. Ma sa benissimo che non è importante contare i voti che eventualmente raccoglierà la proposta Chiti, quanto quelli del Pd che potrebbero mancare alla proposta del governo. Basterebbe perderne 10 per far scivolare il testo sotto la maggioranza assoluta, necessaria per la revisione costituzionale.

Trasformata in una serie di emendamenti al testo del governo, la proposta Chiti potrebbe ugualmente fare male all’esecutivo. Almeno sul punto dei senatori eletti. Infatti a fare i conti sui componenti della prima commissione, la convergenza dei commissari di Forza Italia oltre a quelli dei 5 stelle, di Sel, del civatiano Mineo e, eventualmente, dei due leghisti e dei rappresentanti del Nuovo centrodestra che si sono detti favorevoli all’elezione diretta, esporrebbe Renzi alla sconfitta. Da qui i continui richiami all’ordine, particolarmente stonati perché si tratta dell’esecutivo che mette in riga il legislativo nella discussione sulla Costituzione. Renzi ripete i suoi slogan, ieri rilanciati anche dalla presidente Finocchiaro: «La proposta del governo è quella votata dagli elettori del Pd alle primarie e approvata dalla direzione del partito». Dunque i senatori del gruppo, che pure sono liberi nel mandato, dovrebbero adeguarsi. Si tratta però di due slogan falsi, come scriviamo da tempo e come si può verificare leggendo la mozione presentata da Renzi per le primarie (non c’è una riga sul bicameralismo né sul senato) e controllando la relazione del segretario sulle riforme approvata dalla direzione del Pd: si parlava ancora di un senato composto da 108 sindaci.