L’articolo di Giandomenico Crapis dello scorso mercoledì 27 aprile ritornava sulla discussione che ha aperto il nuovo «Rischiatutto» condotto da Fabio Fazio. Dibattito cui aveva contribuito il pezzo a mia firma («I dolci inganni del Rischiatutto», sabato 23 aprile), nel quale si parlava di operazione di retroguardia e di neo-centrismo culturale. Crapis, attento commentatore del sistema dei media, critica il ricorso a categorie ideologiche. E fa un parallelo con il fuoco di sbarramento che accompagnò sulla storica rivista del Pci – «Rinascita» – i quiz di Mike Bongiorno. Il riferimento che riguarda «Rischiatutto» è a quanto scrive sul numero 4/1972 della rivista Ivano Cipriani, in verità tra gli studiosi più attenti alla comunicazione. E’ vero che si legge che «la televisione è evasione di massa» o che il gioco trasmesso è un inno alla pura capacità mnemonica, persino peggiore del nozionismo di «Lascia o raddoppia».

Approcci e linguaggi datati , figli di un approccio sospettoso verso la travolgente diffusione dello schermo domestico. La cultura scritta e il racconto cinematografico, la musica «colta» erano i riferimenti privilegiati, mentre la scatola invasiva era vissuta come un’invasione barbarica. Cipriani sorrise poi dei suoi scritti d’epoca. Tuttavia, fu tra i pochi di quel mondo a studiare le logiche e i linguaggi della televisione, con qualche preconcetto ma con curiosità e passione. E non erano affatto numerosi dirigenti e giornalisti a prendere sul serio il ruolo potente e inedito che il medium stava assumendo.

Ecco, più che l’arretratezza e lo schematismo è l’assenza del tema nelle linee e nelle strategie politiche a far paura. Tra l’altro, la stessa «Rinascita» si occupò poco di trasmissioni popolarissime e seguite da un pubblico enorme: non c’è traccia di commento al momento della partenza di «Lascia o raddoppia» alla fine del 1955, e neppure agli esordi del primo «Rischiatutto» nel febbraio del 1970. Il peggio doveva ancora venire. L’indisponibilità a cogliere il movimento carsico in corso condannò il Pci a perdere l’occasione di contribuire a plasmare la nuova era, senza subirla con spirito subalterno e marginale quando esplose l’universo della televisione commerciale. Il gravissimo ritardo condizionò gli anni successivi e la partita fu vinta non a caso dal modello berlusconiano. Insomma, la storia poteva prendere una strada alternativa: un sistema misto di pubblico e di privato, regolato e plurale. Crapis coglie le magagne antiche di una debolezza mai superata.

In tutto questo, le critiche al «Rischiatutto» di Fazio c’entrano poco. Nessuna rampogna ideologica. Ovvio. Sarebbe assurdo e grottesco. La critica, però, è doverosa nei riguardi non del quiz, bensì nell’impronta ecumenica e buonista che ha assunto la cerimonia mediatica. Un conformismo moderno, preferibile ai vari «Ciao Darwin» o al trash quotidiano che spopola nel day time. Eppure assai implicato nello spirito del tempo: sopiti i conflitti, il sorriso compiaciuto è pronto a prendere la testa della televisione intelligente.