Ancora una volta in agosto e ancora una volta nell’assemblea dei gruppi. Le tensioni dentro al Movimento 5 Stelle ricordano, seppure in contesti politici differenti e agende diverse, quelle che esattamente un anno fa condussero alla nascita, a furor di parlamentari e con poca convinzione dei vertici, della maggioranza con Pd. Allora, una grande parte degli eletti di fatto costrinse il capo politico Luigi Di Maio a sedersi attorno al tavolo e trovare l’accordo per il Conte bis. Oggi, senatori e deputati si riuniscono a Montecitorio e danno vita ad un incontro convulso, difficile da decifrare anche dall’interno. Ma nella sostanza i parlamentari chiedono che il Movimento 5 Stelle smetta di incartarsi su se stesso, che si muova con maggiore naturalezza dentro i confini di questa maggioranza, senza personalismi e manovre tattiche che producono danni e danneggiano l’esecutivo. «Rischiamo di diventare la nuova Dc, perennemente sospesa tra la guerra tra bande e gli accordi dell’ultimo momento», sintetizza un deputato. Nel suo intervento in assemblea, il deputato Luigi Gallo, che era presidente della commissione cultura e che adesso ha traslocato in quella bilancio, invita alla concretezza di fronte alle formule alchemice politiciste: «Di fronte alle scelte che facciamo tutti i giorni dobbiamo porci una sola domanda: quale porta più benefici ai cittadini?».

Ma non è un caso che la situazione sia precipitata proprio in occasione del rinnovo delle commissioni parlamentari. In molti tra i grillini hanno avuto la sensazione che per l’ennesima volta i vertici, nella figura dell’attuale reggente Vito Crimi e dei capigruppo, non hanno saputo (o voluto) tenere fede all’accordo interno che doveva regolare i rapporti con le altre componenti della maggioranza. È ricomparso lo spettro dell’era Di Maio, che secondo i suoi detrattori era solito rifinire i patti che parevano conclusi e mettere bocca all’ultimo, quando era il momento di chiudere la partita. Era accaduto, ad esempio, persino nell’agosto scorso, quando si era trattato di comporre la lista dei viceministri e dei sottosegretari: Di Maio aveva piazzato i suoi e sacrificato molti di quelli che si erano spesi nelle assemblee e nei tavoli programmatici costruiti attorno alle commissioni parlamentari, per far nascere questo governo.

A nomine compiute, e di fronte alla soddisfazione per avere finalmente abbandonato la Lega e la scelta di campo col centrosinistra, la forzatura di Di Maio venne accolta e molti fecero buon viso a cattivo gioco. Ma uno degli interrogativi di queste ore è proprio questo: cosa farà l’ex capo politico di fronte al sommovimento in atto nei gruppi? «Lui è capace di tutto», sussurrava un eletto a poche ore dall’assemblea di ieri sera. A proposito di posti: se la rottura di alcuni parlamentari col ministro Vincenzo Spadafora sulla legge di riforma del Coni dovesse portare alle dimissioni di quest’ultimo si darebbe il via a una specie di rimpasto che potrebbe risentire degli equilibri della discussione di ieri. Come a dire: si è tracciata una linea, da domani cambiano i rapporti di forza nel M5S. Ecco perché l’assemblea non ha potuto evitare di registrare il conflitto interno, anche se con una tempistica quantomeno sospetta sono arrivati i solleciti dei probiviri sulle rendicontazioni dello stipendio. Non siamo alla conta sulla sfiducia al direttivo, ma una votazione dovrebbe avvenire alla prossima riunione congiunta. Il vero obiettivo è Vito Crimi? Risponde in questo modo l’ex ministra Giulia Grillo: «Crimi può fare quello che può ma è in una situazione strana. È reggente in quanto membro più anziano del Comitato di garanzia. Secondo lo statuto, bisognava eleggere il nuovo capo politico entro 30 giorni dalle dimissioni di Di Maio. Sono passati quasi 7 mesi. Doveva essere un reggente pro tempore».