È possibile per una giovane donna riuscire a imporsi in un ambiente a forte prevalenza maschile? Vincere i sospetti e le diffidenze, farsi accettare, rispettare, e magari cambiare alcune delle regole del gioco, alzando la posta e aprendosi al «nuovo»? Stando all’esperienza di Fabiana Noro, direttrice del Coro Polifonico di Ruda (tra i migliori cori maschili al mondo) che ha ispirato il personaggio di Maria in Resina, prima prova per l’esordiente Renzo Carbonera, sembrerebbe di sì.

Nel film ha il volto spigoloso e androgino dell’anti-diva del Nord-Est Maria Roveran, una violoncellista in crisi, delusa dallo spietato mondo della musica in cui è difficile sfondare, di ritorno a casa in un piccolo paesino tra le montagne. Il fratello è morto. La cognata è rimasta da sola con il figlioletto a far fronte ai debiti. La banca non fa sconti. E la madre, dimessa da poco da una clinica psichiatrica, si è chiusa in sé. Intanto il mondo si trasforma anche ad alta quota, persino in una piccola località montana in cui si parla ancora una lingua arcaica (il cimbro), ma che il cambiamento climatico non può risparmiare.

Maria incontra Quirino (Thierry Toscan) al bar. Lui è un anziano del posto che conserva ostinatamente ciò che resta di un coro ormai ridotto a poche voci, con il sogno ambizioso e un po’ folle di farne qualcosa di grande. Lei è una donna smarrita a un punto di svolta. All’interno di una comunità che mantiene tracce di un’umanità altrove estinta, dove ai caratteri ruvidi e ai silenzi si accompagnano inaspettati gesti di altruismo, si aiutano.
Resina è un film onesto, sincero e a tratti ingenuo come il piccolo mondo antico che descrive. È il racconto di una comunità che si stringe attorno a un’idea di riscatto. Che passa attraverso la musica, la solidarietà e l’inarrestabile concretezza di cui a volte solo le donne sono capaci.