Mentre le aspettative economiche a metà 2021 sembravano abbastanza ottimistiche, a fine anno tanto le popolazioni che i commentatori sembrano sprofondati in umori piuttosto cupi: nel sondaggio Gallup di fine anno se per il 48% degli intervistati italiani il nuovo anno sarà come quello passato, secondo il 36% sarà peggiore. Secondo un’indagine di Bankitalia presso aziende italiane svolta nello stesso periodo il giudizio sulla situazione economica generale porta a prospettive negative per l’immediato avvenire. A quanto pare la nuova ondata pandemica di Omicron getta ombra sul futuro. I motivi di particolare problematicità erano già presenti come elementi strutturali delle dinamiche macroeconomiche. Alcune pubblicazioni istituzionali comparse a inizio anno ce li fanno presente.

Il Global Economic Prospect della Banca Mondiale indica tre fattori fortemente negativi. Primo: le asimmetrie economiche hanno raggiunto livelli enormi, in termini di deficit fiscali e debito pubblico, tanto da determinare alti livelli di indebitamento estero ed interno. Secondo: crescita delle diseguaglianze fra paesi e all’interno degli stessi, segnatamente gruppi vulnerabili colpiti da disoccupazione, crollo del reddito familiare, mentre i gruppi privilegiati aumentano la loro ricchezza. Terzo: incertezza generalizzata; nuove possibili varianti possono colpire le economie di paesi a prescindere dal loro grado di vaccinazione, interrompendo le filiere globali, e gli effetti del cambiamento climatico possono causare oscillazione dei prezzi delle materie prime sul cui export si basano in buona sostanza due terzi dei paesi più poveri. A livello mondiale si prevede che il ritmo della ripresa rallenti: ad una crescita di +5,5% nel 2021 dovrebbe seguire un +4,1% nel 2022 e + 3,2 nel 2023. Ma la crescita è già altamente diseguale fra paesi avanzati e non.

Temi in buona parte ripresi dal World Economic Situation Prospects dell’ONU uscito il 12 gennaio: l’arrancare della ripresa a fine 2021 fra aumento dell’inflazione mondiale e delle materie prime, mentre il possibile cambio di marcia della FED provoca incertezza presso gli investitori. La povertà a livello globale, già superiore all’epoca pre-Covid, in alcuni paesi continuerà ad aumentare fra il 2022-23, comportando un aumento delle diseguaglianze fra paesi e all’interno di essi. Sul piano finanziario come siamo messi? Da un lato i rapporti citati sottolineano la crescita abnorme dei debiti pubblici e la difficoltà di rifinanziarli se per qualche motivo le banche centrali cessassero il loro sostegno.

Dall’altro sottolineano la svolta operata nel corso pandemico: stimoli fiscali come se piovesse (cioè aiuti di Stato, finanziamenti per lavoratori e imprese, tutto ciò che grava sui bilanci pubblici) e la crescita delle attività delle banche centrali, che inondano di liquidità il pianeta. Una prima conclusione sembra possibile trarre da questi voluminosi rapporti. Il presupposto dato per implicito – e quindi non problematizzato – è che il sistema sia basato sulla apertura commerciale e finanziaria (economie export-led e liberi flussi di capitali) a vocazione competitiva.

A più riprese abbiamo sostenuto che esso sia non solo in contrasto col benessere delle classi popolari e lavoratrici ma che sia destinato ad amplificare i rischi di ulteriori crisi anche in tempi normali; nella congiuntura attuale, che di normale non ha nulla, appare evidente quanto tale assetto implichi una ripresa a più velocità, cioè proporzionale alla forza economica già detenuta dai paesi, che consente loro un interventismo d’emergenza, e al loro peso geopolitico, consistente nella disponibilità di vaccini. Tutto ciò non solo è penalizzante per i paesi meno ricchi il cui status viene confermato, ma è deleterio per l’intero sistema popolato di paesi export-led, in cui i molteplici livelli di interdipendenza possono esplodere addosso anche ai paesi più abbienti.