Se il nuovo governo targato Pd-M5S deve rappresentare una svolta reale rispetto al governo Conte, non basta cambiare i nomi, non è sufficiente, bisogna cambiare radicalmente la visione e le prospettive.

Purtroppo, nei cinque punti elencati da Zingaretti, al di là della genericità, manca proprio un rovesciamento dell’approccio al modello di sviluppo del nostro paese: un’Italia che è sempre più diseguale sul piano sociale e territoriale.

Come ci ricorda anche l’ultimo Rapporto Svimez la diseguaglianza tra Nord e Sud è diventata una voragine che rischia di travolgere l’intero paese. Per questo è necessario ripartire dal Sud, non come un’appendice al programma generale come si è fatto per tanto, troppo tempo (la scuola, la sanità, i giovani, il Mezzogiorno, e bla bla bla…).

Innanzitutto, lo dico brutalmente, per un calcolo politico che non si può eludere: togliere alla Lega il consenso che in pochissimo tempo ha conquistato nel Mezzogiorno, bisogna spiegare alle popolazioni meridionali come sarebbero stati depredate dall’autonomia finanziaria fortemente voluta da questo partito che rimane Lega Nord (anche se ha cambiato la maschera). Bisogna fare ogni sforzo affinché la Lega ritorni nei confini storici che l’hanno generata alla fine degli anni ’80 del secolo scorso.

Una svolta, nel breve e nel medio periodo, va costruita attraverso un programma di assunzioni nella Pubblica Amministrazione in settori vitali dove il blocco del «turn over» ha causato danni ingenti: sanità, servizi sociali, Università, centri di ricerca, comuni piccoli e medi, ecc.

In secondo luogo attraverso un Piano nazionale che riguardi le «aree interne», sottoposte a un pesante processo di spopolamento, di abbandono di terre fertili, di rischio idrogeologico crescente, di patrimonio edilizio sprecato.

Ormai esistono studi e proposte circonstanziate su cui hanno lavorato da anni team di esperti (come quello presieduto da Fabrizio Barca), ma manca una strategia complessiva che, utilizzando i fondi europei e coordinando le proposte delle diverse regioni, debba includere anche la valorizzazione del lavoro dei migranti, unitamente a quello dei giovani disoccupati. L’agricoltura collinare e la pastorizia sarebbero morte senza i lavoratori immigrati, ma il valore del loro lavoro deve essere riconosciuto unitamente al loro inserimento sociale e alla dignità dell’abitare.

In questa nuova prospettiva, il Mezzogiorno può essere anche l’occasione per dare gambe alla questione ambientale.

Pensiamo solo alle energie rinnovabili, che hanno una potenzialità nel territorio meridionale solo in parte utilizzata, o alle aree protette nel Mezzogiorno (parchi nazionali, regionali, aree di riserva integrale) che rappresentano più della metà della superficie delle aree protette a livello nazionale, il cui contributo alla riduzione della CO2 andrebbe quantificato e fatto pesare sul piatto del Pil, e della sua falsa rappresentazione della ricchezza reale.

Pertanto, richiamando il titolo di un noto film del grande Troisi, potremmo dire: «Ricominciamo da 3». Ovvero: Sud, Migranti, Ambiente.