Quello che si apre con le mobilitazioni di oggi è un mese importante per il futuro dell’Europa. Tornano in campo, infatti, gli unici attori che possono davvero cambiarne il profilo: quei movimenti transnazionali che, manifestando contemporaneamente in molti Paesi dell’Unione, riescono a sfidare l’egemonia neoliberista alla giusta altezza, cioè quella continentale. Movimenti ampi e plurali, come il cartello di blockupy di Francoforte, che raggruppa dai collettivi autonomi a Die Linke, o le reti anti-trojka portoghesi e spagnole. Ed è proprio nella penisola iberica che sono attesi i cortei più imponenti di questa giornata. 

A Madrid e in altre 40 città a fianco delle «marea» degli indignados e dei lavoratori dei settori pubblici sfilerà anche Izquierda Unida, che ieri ha riunito i propri militanti in una grande assemblea con il leader della greca Syriza, Alexis Tsipras, figura di riferimento della sinistra anti-austerità.

Ma oggi non è che l’inizio. Dopo lo storico primo sciopero europeo dello scorso 15 novembre, infatti, tornano a farsi sentire anche i sindacati. Sotto l’egida della loro confederazione europea (Ces), a metà del mese daranno vita a una settimana di iniziative «per l’Europa sociale e per il lavoro»: in Spagna sono già indetti cortei in tutto il Paese il 15 e il 16, in Francia un’iniziativa unitaria di tutte le centrali il 19, in Italia speriamo che (almeno) la Cgil batta un colpo. O con iniziative ad hoc oppure «europeizzando» almeno un po’ la manifestazione nazionale del 22, già programmata e indetta insieme a Cisl e Uil per chiedere al governo Letta «provvedimenti per uscire dalla recessione e riprendere la crescita».

Nel frattempo, un appuntamento molto importante sarà Alter summit, un vertice europeo alternativo che avrà luogo ad Atene il 7 e l’8, organizzato da molteplici gruppi della società civile di tutta l’Ue, con il sostegno di autorevoli intellettuali critici come il tedesco Elmar Altvater e il britannico (ma docente a Berlino) Trevor Evans (www.altersummit.eu). L’obiettivo – come si legge nel manifesto di convocazione – è coordinare le lotte in corso nel continente per riuscire a «cambiare i rapporti di forza per imporre una vera democrazia politica, sociale ed economica in Europa». La scelta della capitale ellenica, ovviamente, non è casuale: «la Grecia è stata il laboratorio delle politiche distruttive, ma può anche diventarlo della resistenza». Il motivo di tanto – benvenuto – attivismo risiede anche nel fatto che a fine giugno ci sarà il Consiglio europeo, l’ultimo prima delle elezioni in Germania del prossimo settembre. Al vertice di Bruxelles i capi di stato e governo hanno in serbo di aggiungere un ulteriore tassello alla costruzione della cosiddetta governance economica della Ue: dopo le misure che vanno sotto i nomi di six pack, fiscal compact e two pack, ecco il cosiddetto «Patto per la competitività» (o Convergence and Competitiveness Instrument, CCI). Fortemente sponsorizzato dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, e accuratamente predisposto dalla Commissione guidata da José Manuel Barroso, il nuovo patto vincolerebbe ulteriormente gli stati ad applicare le «riforme» ispirate alla filosofia neoliberale.

Per impedire che ció accada e, soprattutto, che passi sotto silenzio, da un paio di settimane è in rete l’appello Another Europe is possible promosso da un gruppo di dirigenti della sinistra austriaca, immediatamente affiancati da esponenti dei partiti progressisti tedeschi, francesi e italiani, oltre che da economisti, giuristi e politologi (www.europa-geht-anders.eu). Lo spettro ideologico è ampio: si va dalla sinistra socialista (compresa la gauche del Ps francese) ai comunisti, passando per le correnti più radicali dei verdi (in Italia lo ha firmato Sel). Differenze che non impediscono di condividere l’interpretazione del vero significato delle «riforme strutturali» che Merkel e compagnia vorrebbero ulteriormente blindare nel nuovo «patto per la competitività»: «riduzione delle prestazioni sociali (anche attraverso l’aumento dell’età pensionabile), distruzione dei contratti collettivi di lavoro e privatizzazione di acqua, istruzione ed energia».