Dopo l’umiliante pausa delle nazionali dove un titubante commissario tecnico, ci ha riproposto le solite vecchie facce che speravamo di non rivedere mai più causa mancata qualificazione ai Mondiali, tanto per ricordarci che il calcio italiano è sempre lì in fondo al pozzo artesiano, e nonostante i cambi di governance e i mille proclami e gli squilli di tromba non si è mosso di un centimetro, ricomincia il campionato. Tutti in campo domani, nel sabato santo, quello in cui la liturgia celebra il mistero della discesa agli inferi di Cristo. E mai metafora fu più azzeccata.

Se per la resurrezione dobbiamo aspettare che Mancini diventi il nuovo ct, o che Mediapro e Sky si mettano d’accordo sulle esclusive dei posticipi per distribuire finalmente i soldi dei diritti tv ai club assetati di denaro e oberati dai debiti, o ancora peggio che siano Cairo e Malagò a guidare un cambiamento radicale capace di rimettere in piedi un sistema che scricchiola dalle fondamenta, beh, la Pasqua tarderà ad arrivare. Al massimo ci sarà qualche uovo, come quello nel quale i tifosi milanisti troveranno il rinnovo di Gattuso. Magra consolazione dato che proprio la società, stanti le cose, rischia di non arrivare all’autunno, quando andranno restituiti i soldi presi in prestito, e forse neppure all’estate, quando la Uefa si pronuncerà su eventuali multe, squalifiche e necessità di vendere i pochi pezzi pregiati.

Intanto la squadra, che in campionato continua la sua striscia positiva, nel big match serale fa visita a una Juventus che si trova a dover consolare Higuain, ritenuto da un intero paese colpevole del mortificante 6 a 1 subito dall’Argentina con la Spagna, e Dybala, nemmeno convocato rischia di vedere il Mondiale in tv. Per sua fortuna Allegri può consolarsi, oltre che con l’ennesima Panchina d’Oro, con i due punti di vantaggio sul Napoli, che nel tardo pomeriggio fa visita al Sassuolo. In chiave Champions apre le danze la Roma, in trasferta a Bologna, mentre hanno partite più facili in casa la Lazio con il Benevento e l’Inter con il Verona. Anche se tra i nerazzurri Icardi ha capito di non fare parte del progetto albiceleste come Dybala, e le dimissioni arrivate in settimana di Capello dallo Jiangsu e di Sabatini da tutto pongono un ulteriore punto interrogativo sul progetto Suning.

Sabato sarà anche l’occasione per ricordare Emiliano Mondonico, morto ieri a 71 anni dopo una lunga malattia. Ala destra di talento che in omaggio a migliori desideri di quella generazione rifiutava il lavoro e giocava solo ne aveva voglia, tanto che una volta si fece squalificare apposta per andare a sentire i Rolling Stone al Palalido, da allenatore fece benissimo in provincia ma gli fu sempre negata la possibilità di allenare una grande. Riuscì a portare Atalanta e Torino, le «sue» squadre con la Cremonese, a un passo dal sogno, mitica la sedia alzata contro il cielo nella finale di Coppa Uefa persa contro l’Ajax, quasi a voler ribadire che la classe operaia non sarebbe mai andata in paradiso. L’ultima squadra allenata, era invece composta da ragazzi senza casa, con dipendenze o disagi mentali. Questo era il Mondo, oltre la sedia di Amsterdam.