Proprio in questi giorni di cinque anni fa, dicembre 2015, è stato firmato l’Accordo di Parigi. In quello stesso anno sono usciti anche l’Enciclica Laudato Si di Papa Francesco e l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, a completare l’individuazione di obiettivi urgenti sul tema ambientale.
Oggi siamo qui a chiederci a che punto siamo cinque anni dopo. Pochi risultati concreti forse, ma per certi versi è cambiata la nostra vita e abbiamo assistito al consolidamento di alcuni aspetti presentati allora come proposte e speranze. Tra questi, la conferma di aver introdotto in modo operativo, oltre che emblematico, le comunità dell’energia. Sono rari i momenti in cui una generazione ha la possibilità di cambiare il mondo, ora c’è la certezza che stiamo vivendo quel momento.

LE COMUNITÀ DELL’ENERGIA sono, insieme alle fonti rinnovabili, il cardine di un nuovo modello energetico e sociale. La transizione verso questo nuovo modello energetico, che permetterà la decarbonizzazione completa (l’Europa dice che si realizzerà entro il 2050), sarà molto più rivoluzionaria di quanto non si creda. Perché se applicata correttamente permetterà una modificazione anche sociale oltre che energetica ed ambientale, con una valorizzazione dell’energia considerata come bene comune. Il degrado ambientale è degrado sociale, e sapendo che il pilastro dell’equità sociale è la più chiara componente etica, rispetto all’equità economica o alla giustizia sociale, il tema si presenta in relazione al tentativo di eliminare disuguaglianze sociali e discriminazioni di ogni genere. Etica nello sviluppo, indispensabile ora che tali disparità hanno raggiunto livelli non più accettabili.

In particolare, le comunità dell’energia presentano il recupero di una responsabilità individuale, la stessa responsabilità che progressivamente è andata perduta negli anni della globalizzazione; esse infatti mettono finalmente al centro dell’azione il cittadino attraverso il suo nuovo ruolo di prosumer, consumatore-produttore della sua stessa energia. Il che significa auto-assegnarsi un ruolo attivo e responsabile e non meramente passivo, questo essendo l’unico atteggiamento permesso in una società dei consumi da mezzo secolo ad oggi.

IL CONCETTO DELLE COMUNITÀ energetiche è basato sull’autoconsumo, cioè la possibilità (e il diritto) di un gruppo di consumatori di consumare, ma anche di immagazzinare e di produrre energia (meglio se da fonti rinnovabili), senza alcuna discriminazione. L’aggregazione di cittadini permette loro di rispondere a bisogni energetici, ambientali, sociali in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione nazionali ed internazionali. Una aggregazione che ha come obiettivo quello di considerare l’energia come bene indispensabile per una vita dignitosa, capace di descrivere una identità nuova dell’essere umano.

MA PER FAR QUESTO OCCORRE necessariamente adottare principi e metodi rivoluzionari. Da un modello ad alta intensità di beni di consumo occorre passare ad un modello ad alta intensità di beni comuni e beni pubblici, perché così, grazie alla abbondanza delle risorse (basti pensare alla disponibilità di sole, acqua e vento), sarà possibile eliminare il concetto di proprietà. Risorse abbondanti significano fine della proprietà perché non occorre essere proprietari per difenderle e tutelarle. L’autoproduzione dell’energia renderà liberi. La gestione consapevole della energia darà il senso e la misura della libertà dell’uomo.

CI SI DEVE CONCENTRARE su un modello di sviluppo territoriale, che significa uso coerente delle risorse, partecipazione e condivisione, valorizzazione di quel territorio con relative ricadute anche economiche. Il carattere fortemente territoriale della scelta energetica privilegia e valorizza l’identità locale e la sua tutela, aumenta la consapevolezza del fine comune; per definizione una comunità dell’energia è fondata su condivisione, collaborazione, empatia. La generazione dell’energia diventa diffusa, capillare, in contrasto con quella a cui siamo abituati centralizzata, monopolistica, di mercato. Qui sta il significato di rivoluzione.

SOLO IL SUPERAMENTO dell’atteggiamento legato al profitto fine a se stesso permetterebbe una evoluzione in linea con i Diritti Umani del 1948 coniugati con gli obiettivi della Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (in particolare proprio quello dell’obiettivo numero 7: energia sostenibile per tutti). Lo sviluppo sostenibile deve includere un approccio finalmente olistico sul tema; senza una vera integrazione tra politiche energetiche, ambientali, economiche, sociali ed anche culturali non sarà possibile raggiungere nessuno di quegli obiettivi. Cosi come senza un vero, convinto ed operativo approccio di economia circolare, che coinvolga l’intera filiera dal produttore al consumatore. Aver riportato le due funzioni in una, come nel caso delle comunità dell’energia, significa aver eliminato l’intermediazione e quindi di fatto operare all’interno di una economia circolare.

LA CAPACITÀ DI PRODURRE la sua propria energia permette ad un individuo di capirne il valore e quindi considerare in modo appropriato il suo prezzo; risulta evidente che egli tenterà di mettere in atto tutte le misure di efficienza energetica in termini di riduzione dei suoi fabbisogni e di efficacia delle sue produzioni. La sua capacità poi di condividere quella energia, cedendo i surplus e chiedendo i deficit dell’energia a lui necessaria, gli permetterebbe di agire in condivisione, riducendo costi e rispettando l’ambiente. Una energia per tutti, condivisa, pulita e gratuita.

In definitiva, l’energia viene vista in prospettiva, a cominciare dall’uso coerente delle fonti rinnovabili e dalle applicazioni virtuose di comunità dell’energia, come bene indispensabile per una vita dignitosa di ogni individuo, necessaria anche per contrastare fenomeni di disuguaglianza, primo fra tutti quello della povertà energetica.