Italia

Rinasce l’inchiesta sul caso Uva

Respinta la richiesta di archiviazione Nuove indagini nei confronti degli otto agenti di polizia e carabinieri accusati di lesioni colpose

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 9 ottobre 2013

Non è finita. Nel giorno in cui il caso Uva poteva morire con un’archiviazione per gli uomini in divisa coinvolti nella morte di Giuseppe la notte del 14 giugno del 2008, l’inchiesta rinasce e adesso sotto la lente degli investigatori ci saranno proprio i fatti avvenuti prima del trasferimento dell’uomo, ormai in fin di vita, all’ospedale di Circolo, dove poi il suo cuore avrebbe smesso di battere. Tre ore piene di mistero: alle 2 e 55 Uva e il suo amico Alberto Bigioggero vengono portati nella caserma dei carabinieri in via Saffi, alle 5 e 41 l’ambulanza con Giuseppe a bordo arriva al pronto soccorso.
Il sostituto procuratore di Varese Agostino Abate – che in un processo precedente sullo stesso caso aveva messo sotto accusa un medico, poi assolto con formula piena – ha sempre sostenuto che Giuseppe Uva non sarebbe mai stato pestato in caserma, la morte sarebbe avvenuta a causa delle sue «precarie condizioni di vita» e i segni evidenti delle botte sul suo corpo se le sarebbe procurate da solo, particolare più volte rimarcato anche ieri in aula, davanti agli increduli familiari della vittima. Il gup è entrato in camera di consiglio poco dopo pranzo e ne è uscito intorno alle 18 e 30 con il responso: le indagini su Paolo Righetti, Stefano Del Bosco, Gioacchino Rubino, Luigi Empirio, Pierfrancesco Colucci, Francesco Barone Focarelli, Bruno Belisario e Vito Capuano continuano. Anzi, cominciano adesso, visto che malgrado i tanti appelli della famiglia Uva e la raccomandazione del giudice Orazio Muscato, la procura di Varese non si è mai mossa con decisione in questo senso, arrivando anzi a aprire un fascicolo per il reato di diffamazione nei confronti di Lucia Uva, degli autori del documentario Nei Secoli Fedele Adriano Chiarelli e Stefano Menghini, dell’inviato delle Iene Mauro Casciari e del direttore di Italia Uno Luca Tiraboschi.
«È l’ennesima volta che un giudice sconfessa l’impianto accusatorio del pm Abate – commentano quelli di Malapolizia – e indica come risolutiva la strada delle indagini su carabinieri e poliziotti».
Il reato ipotizzato per i due carabinieri e i sei poliziotti è di lesioni personali semplici, con la procura lombarda che era addirittura arrivata a chiedere l’archiviazione per le posizioni degli uomini in divisa: un ribaltone che avrebbe condannato all’oblio il caso Uva. Quando tutto sembrava perduto, a luglio il gip Giuseppe Battarino ha respinto le richieste del pm e rinviato la discussione a ieri. «La stessa qualificazione giuridica dei fatti – scrisse il giudice – risultante dall’iscrizione delle persone presenti nella caserma dei carabinieri per mere lesioni personali semplici, contraddice gli esiti argomentativi della sentenza numero 498 del 2012 (quella che assolse i medici dell’ospedale, ndr) ed è apodittica di fronte a un evento, la morte di Giuseppe Uva, da ritenersi allo stato privo di spiegazione giudizialmente accettabile». Una stroncatura netta delle tesi di Abate e uno squarcio di speranza per i familiari del falegname morto a 42 anni.
«Finalmente – dice Lucia Uva al manifesto -, abbiamo fatto un passo avanti verso la verità. Un altro giudice ha smentito la tesi secondo la quale Giuseppe sarebbe morto per colpa dei medici: bisogna indagare su quello che è successo in caserma, noi lo diciamo da sempre. Esco distrutta da questa giornata ma sono veramente soddisfatta. Attenzione però, non è ancora finita». La conclusione delle nuove indagini è fissata per il 31 dicembre, solo allora si saprà se nasce o se muore l’inchiesta sulla caserma di via Saffi.

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