Con La malapianta, romanzo cult dell’anima popolare salentina più vera e povera, da qualche giorno nelle librerie, la casa editrice AnimaMundi Edizioni ha avviato la pubblicazione (o la ristampa) di tutti gli scritti di Rina Durante. Ed è importante che a stamparli sia AnimaMundi: una casa editrice ed etichetta discografica, piccola ma tenace, che gestisce anche una libreria da visitare nei vicoli di Otranto. AnimaMundi che, già nei suoi pochi anni di vita, è diventata un punto di riferimento fondamentale della cultura e della musica del Salento, privilegiando, in entrambi i casi, opere che hanno un rapporto profondo e poetico con l’anima del mondo.

In questo caso si tratta di una vera e propria collana affidata alla cura del giornalista Massimo Melillo, suo amico e complice di mille battaglie e da tempo custode attento della memoria e delle opere di Rina. Melillo che accompagna il libro con un testo (In memoria) che incomincia parlando proprio dei libri: «libri che fanno crescere, vivono di forza propria e fanno vivere: questo forse il mistero della scrittura che diventa narrazione». Libri come quelli di Rina che, se aperti e letti, «muovono uomini e donne, costruiscono pensieri e identità, si fanno storia e conoscenza per tutti e di tutti».

Ma ad accompagnare la nuova uscita del romanzo, ci sono anche altre voci che cercano, ognuno dal suo specifico punto di vista, di collocare la storia drammatica della famiglia Ardito nel suo tempo e soprattutto in quello spazio così particolare, di passaggio tra Oriente e Occidente, carico di mistero, di musiche e di storia, che è sempre stato il Salento. Ecco allora l’introduzione di Antonio Lucio Giannone, docente di letteratura italiana all’Università del Salento, che parla di un malessere esistenziale che accomuna e dilania i vari protagonisti della storia: un malessere fatto di solitudine, incomunicabilità, inettitudine, alienazione, aridità, tutti sentimenti figli di quel «male oscuro» che dalle pagine di Giuseppe Berto (il suo romanzo, come La malapianta, è del 1964) cominciava ad aggirarsi come uno incubo in giro per l’Italia.

E ancora Luigi Lezzi che, in Le avventure di un’antropologa militate, ci racconta di una Durante che, con grande intuito e spregiudicatezza politica, cambia completamente di segno il modo di fare ricerca antropologica allora assai in voga. «Ed è così che Rina, – scrive Lezzi – oltre a conoscere l’opera (e a frequentare a volte anche di persona) Annabella Rossi, Luigi Maria Lombardi-Satriani, Leydi, Clara Gallini o Ernesto de Martino, asseconda con estrema naturalezza le nuove vie di un’antropologia, che si sposa con la sociologia e che si assume apertamente il compito dell’intervento nel sociale». E infine Francesco Guadalupi che, in Un modello magico e disperato, riprende la tematica del malessere esistenziale, spostandola e analizzandola, da scrittore qual è, all’interno dei «laceranti percorsi dei membri della famiglia Ardito, eternamente fluttuanti fra sogno e realtà, lucidità e pazzia, in una danza estenuante dalle cadenze ancestrali».

Quella di Rina Durante è una voce fondamentale della terra e della cultura salentina, a cui ha dedicato quasi tutte le sue opere, le sue ricerche, la sua instancabile attività di insegnante, di militante comunista, di organizzatrice e operatrice culturale. Rina, che ho trovato in diversi racconti durante le riprese in Salento del mio film su Giovanna Marini, è stata infatti una scrittrice versatile e prolifica, che ha attraversato tutti i campi dell’editoria e dei media, dal giornalismo alla poesia, dal romanzo alla sceneggiatura cinematografica, dal teatro alla radio e alla televisione, dalla musica alla ricerca antropologica, dai libri di storia alle vite dei santi, e poi viaggi, cibo, vini, olio… e via elencando.

Un progetto, questo della riedizione di tutte le sue opere, di cui si parla da molto tempo (praticamente da subito dopo la sua morte avvenuta nel Natale 2004) e che adesso vede finalmente la luce a partire da questa riedizione del suo unico romanzo che a suo tempo è stato un piccolo caso letterario grazie all’interessamento di Vittorini e a una giuria di illustri scrittori (da Sandro De Feo a Bonaventura Tecchi) che le ha conferito il premio Salento (e quindi la pubblicazione con Rizzoli) per un romanzo in cui «le vicende – si legge nel verbale della giuria – conservano la densità dei dati reali, lievitando fino a configurarsi in una dimensione fuori del tempo, in un paese che acquista la grazia di una creazione favolosa, pur significando in maniera aderente la condizione storica e morale di una società ancora immobile che sembra tuttavia intravedere per labili segni la possibilità del suo riscatto».

La vicenda dolorosa di una famiglia disgraziata, attraverso la quale la Durante racconta la storia di un popolo contadino, all’apparenza povero e ignorante, ma che in realtà affonda e sue radici in una cultura straordinariamente ricca e complessa, dando così luogo a contraddizioni terribili e a un repertorio formidabile di immagini e suggestioni… E a questa cultura di tradizione Rina dedica la sua vita e il suo lavoro di intellettuale: due percorsi che viaggiano in parallelo, perché l’opera non può essere separata dalla vita dal momento che da questa si alimenta, questa trasforma in poesia, romanzi, teatro. E allo stesso tempo le sue conoscenze, la sua cultura (da Van Gogh e Picasso ai «maledetti» francesi, dal cinema di Bergman e Buñuel a Rilke, da Vittorini a Celati) le servono per arricchire il suo repertorio di storie, di immagini, di fatti, di personaggi, il suo bisogno di scrivere e di raccontare, di riportare tutto a casa.

Per non dire delle sue conoscenze dirette, dei suoi incontri, a cominciare dai poeti (Luzi, Bigongiari, Caproni, Betocchi, Bodini, Gatto, Cassieri, Pierri, ecc.); e poi tutto il lavoro e i contatti attorno alla ricerca antropologica e alla musica popolare, che parte dal Gramsci dei Quaderni e arriva al Gianni Bosio delle Edizioni Avanti!, dei Dischi del sole, del Nuovo Canzoniere Italiano, senza dimenticare l’eredità di Ernesto de Martino. Una vicenda che la porterà ad avviare un lavoro di riscoperta della musica salentina e alla creazione, grazie anche ai suoi contatti con Giovanna Marini, di un gruppo fondamentale come il Canzoniere Grecanico Salentino, di cui lei è stata a lungo l’anima intellettuale e ideologica.

Una ricerca la sua che si sovrappone con quella sul Sud d’Italia e con la «questione meridionale». E ha fatto bene Melillo a inserire, tra gli altri testi che «scortano» il romanzo, anche un suo breve testo, La cultura che cambiò il Salento, che avvicina folklore e questione meridionale: «Che cosa fu per noi – scrive Durante sull’Almanacco salentino del 2003 – la ricerca folklorica se non tentare di illuminare quei passaggi della nostra storia, in cui il popolo aveva dato testimonianza della sua capacità di reazione e di autonomia? Ripristinare la memoria, difenderla, conservarla: tendeva a questo il nostro lavoro. Oggi si ha la sensazione di un azzeramento di tutto il lavoro culturale svolto sul fronte politico. La nostra convinzione, invece, è che si debba ricominciare proprio da lì, che si debba tornare a parlare di questione meridionale, per esempio, che era un modo per risalire alle cause della condizione meridionale attraverso la ricostruzione storica del Meridione».